Massimo Libardi
IL MONDO DOPO LA CADUTA [1]
2006
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“Sono
stati i miei malanni, le mie stanchezze, il mio interesse forzato
per le questioni di fisiologia a farmi diffidare della metafisica.
Forse in tanti anni non ho compiuto alcun progresso; ma almeno ho
imparato cosa è un corpo.
La parola carnale ha per me il suo senso pieno: voglio dire che tutte le mie idee le ho vissute nella carne. La mia carne le ha censurate, verificate, sofferte tutte” E. M. Cioran, Quaderni 1957-1972, Milano, Adelphi 2001, p. 543. |
1. Il codice
figurativo [2]
Vi sono due aspetti stilistici della pittura di Orlando Gasperini che colpiscono anche l’osservatore distratto. Il primo è il procedere per cicli pittorici e, a livello di singole opere, per polittici.[3] Nel suo processo creativo nasce prima l’idea del ciclo, dove le singole opere sono subordinate ad una precisa idea compositiva.[4] I cicli di Orlando tuttavia non narrano storie, ma illustrano concetti e situazioni. Questa scelta richiama il mondo medievale e l’attribuzione alle immagini di una funzione conoscitiva.
Il secondo aspetto, strettamente connesso al precedente, è il ricordo di un codice figurativo condiviso, di schemi e tipi iconografici riconoscibili, ma appunto è solo un ricordo, una allusione. Nel Medio Evo l’ammaestramento della Chiesa fu affidato alla parola e alle immagini e affinché queste fossero facilmente riconoscibili prese forma un rigido codice iconico-narrativo che permetteva il riconoscimento delle situazioni, dei personaggi e dei valori simbolici. Oggi questo codice è andato perduto, la tradizione si è esaurita, si è persa, è diventata illeggibile. Ecco allora che i suoi elementi sono sostituiti da altri creati ex novo nel tentativo di recuperare la leggibilità perduta.
Il retroterra di queste figure è tuttavia la successiva vasta letteratura allegorica, iniziata alla fine del Cinquecento con l’Iconologia di Cesare Ripa [5] e sviluppatasi durante il barocco con le diverse raccolte di emblemata e imprese. Le due tradizioni non sono sovrapponibili: se le allegorie di Ripa esprimono qualità, affetti, passioni, vizi e virtù, le imprese e gli emblemi barocchi definiscono concetti.[6] Nella pittura di Gasperini il richiamo al barocco è particolarmente cogente: secentiste sono le atmosfere cupe, tenebrose, che escludono la luce; la sottolineatura della fragilità e caducità dell’uomo; l’aspetto teatrale delle composizioni che richiamano scenografie e fondali. Secentista è anche la sensualità e l’intreccio tra questa e la religione, ma ancor più profondamente secentista è il gusto di legare tra loro immagine e concetto.[7]
Oltre a queste fonti bisogna ricordare le rappresentazioni popolari, l’arte minore, i “santini”, gli ex-voto, i reliquiari. Queste, proprio perché sgorgano da una fede ingenua si esprimono in forme rigidamente codificate, che quando sono decontestualizzate producono un effetto di straniamento, come di fronte a una scrittura indecifrabile: riconosciamo l’esistenza di un codice, ma non siamo in grado di interpretarlo.[8] Si vedano a questo proposito le numerose raffigurazioni del sacro cuore e in particolare Ex voto (distanze). Un’altra fonte sono le immagini pubblicitarie che costituiscono la figura di partenza di molte sue opere: anche la comunicazione pubblicitaria produce immagini fortemente codificate di grande leggibilità.
Si legge dunque nell’opera di Orlando Gasperini la nostalgia di un linguaggio simbolico condiviso e il tentativo di ricrearlo. Si vedano ad esempio il Decalogo o da carne e cielo le tre virtù teologali Fides, Spes, Caritas e il polittico Vizi e virtù.
Le tre virtù teologali sono nell’ordine consueto ma diverse dalla tradizione sono le immagini che le illustrano: Fides è rappresentata dalle gambe di un crocifisso ligneo. Al centro del quadro il chiodo che trafigge i piedi. Spes è resa dal profilo di un angelo: non se ne vede il volto, ma l’attaccatura dell’ala. Sul bicipite è tatuato il Sacro cuore avvolto dalle spine. Caritas: i seni ingrossati e il ventre di una donna incinta con le mani, dalle unghie laccate, giunte sul ventre.
Queste immagini illustrano i concetti correlati in modo indiretto e allusivo. La fede, affidata al sacrificio di Cristo, è richiamata dal particolare di una rappresentazione della crocifissione, in un riferimento del tutto obliquo, fedele alla rappresentazione tradizionale (una croce). La speranza, tradizionalmente illustrata da un’ancora, è qui affidata alla figura dell’angelo, mediatore tra il mondo umano e il mondo divino, mentre la carità assume una dimensione completamente mondana nell’accettazione di una nuova vita. In questo caso la figura si richiama alla raffigurazione del Ripa che illustra la carità con una “donna vestita di rosso, che in cima del capo habbia una fiamma di fuoco ardente, terrà nel braccio destro un fanciullo, al quale dia il latte, & due gli staranno scherzando ai piedi”.[9] Come si vede l’autore crea un proprio codice personale, basato su un sentimento religioso privato e individuale, le cui immagini tuttavia si presentano all’osservatore sotto un aspetto oggettivo, reso attraverso il figurativismo pittorico[10] e le scelte compositive.
Alle virtù teologali seguono le quattro virtù cardinali: Iustitia, Prudentia, Temperantia, Fortitudo. La Sanctitas, che non compare né tra le virtù cardinali né tra quelle teologali, chiude la teoria delle virtù, mentre l’Idolatria, che sostituisce l’avarizia, apre quella dei sette vizi capitali: Superbia; Gula; Ira; Impudicitia; Pigritia; Invidia. Qui prevalgono le figure maschili: a un’icona femminile è affidata la Superbia e, come si è visto, la Caritas. Non vi è nulla, se non la scritta, che permetta di distinguere iconograficamente i vizi dalle virtù ad indicare una radicale omologazione e una totale indifferenza di valori.
L’Idolatria è rappresentata da un nudo maschile, il volto in parte illuminato in parte in ombra. Lo sguardo sicuro, seducente in una posa da modello pubblicitario. Al collo una croce. Le mani coprono i genitali, mentre il ventre e le gambe sfumano nel buio. L’idolatria più che l’avarizia si configura come uno dei peccati capitali del mondo moderno anche per il suo legame con il mondo delle immagini: la pubblicità e il linguaggio televisivo hanno realizzato una profonda desacralizzazione e una concentrazione di significati intorno a valori superficiali ed effimeri immergendo sempre più la creatura in una mondanità senza riscatto (L’uomo felice, 4 cavalieri). Per questo la pubblicità è manifestazione dell’idolatria. Il procedimento di Orlando è dunque fortemente ironico: utilizza la grande capacità comunicativa delle immagini pubblicitarie effettuando al contempo il loro trasferimento da un contesto profano ad uno sacro.
All’idolatria si contrappone direttamente la Sanctitas che è rappresentata da una madonna. La linea delle labbra coincide con il bordo superore del quadro, il corpo è nascosto dal drappeggio dell’abito verde. Le due rappresentazioni si contrappongono l’una all’altra: maschile versus femminile, nudo versus vestita, profano versus sacro, disponibilità versus verginità.
Questo tentativo di costruire un nuovo codice si avvale di uno stile marcatamente figurativo, debitore comunque del realismo onirico e trasfigurato dei surrealisti, soprattutto di Magritte.[11] Il pittore belga è infatti la più immediatamente riconoscibile delle influenze non solo dal punto di vista dello stile, ma anche nell’ambientazione degli oggetti in contesti non usuali, come la giustapposizione di oggetti non correlati fra loro. Si confronti ad esempio la natura delle cose, - ventiquattro olii 16 per 16 che rappresentano una bottiglia di Coca Cola, un cellulare, un mouse, due labbra femminili, il Sacro cuore, un lumino, il triangolo con l’occhio, un fallo, un pube femminile, il serpente, un uovo, un bicchiere d’acqua, il muso di un lupo, un ombelico di donna, una foglia, un iris, un sasso, una calle, un tulipano rosso, una mela, una corteccia, un ciotolo di fiume, una foglia e una conchiglia - con opere quali L’interpretazione dei sogni, che assembla un uovo, una scarpa, un cappello, una candela accesa, un bicchiere e un martello o con L’evidence éternelle. Come in Magritte anche qui lo sguardo fissa e congela: vi troviamo la stessa volontà di teatralizzazione e la disposizione delle immagini è tale che la prospettiva migliore per osservarle è quella frontale.[12]
Questa pittura a tesi ha inoltre delle affinità con l’opera di Renzo Vespignani, di Domenico Gnoli – soprattutto per i dettagli dei pizzi, dei broccati, delle pieghe, per i particolari senza senso – di Riccardo Tommasi Ferroni, che affonda in un comune gusto secentista e di cui richiama la “mitologia in jeans”, di Omar Galliani. Il risultato è, nonostante la chiarezza anche iconografica delle singole immagini, un forte senso di indecifrabilità, un fascino straniato, un’assenza di punti storici e geografici di riferimento.
Se infatti i singoli momenti e le singole figure sono riconoscibili e decifrabili, il contesto in cui si muovono è opaco e di difficile lettura. La sua decodificazione non si può basare solo su elementi interni e richiede la conoscenza dei riferimenti concettuali dell’autore. È fin troppo facile ricordare le letture bibliche, filtrate attraverso la conoscenza degli apocrifi e della letteratura devozionale. Queste letture avvengono avendo sullo sfondo la riflessione sull’esperienza del fenomeno religioso svolta ai margini del surrealismo dai membri del Collegio di sociologia del sacro, come Georges Bataille e Roger Callois, e da Antonin Artaud. Un autore particolarmente presente è Emile Cioran, sia per la sua capacità analitica, la sua vertiginosa lucidità, ma soprattutto per il legame con il vissuto: le sue idee non si sentono figlie di teorie, ma nascono dalla riflessione su se stesso.[13] A epigrafe di Carne e cielo Orlando pone una citazione da Al culmine della disperazione che inizia: “Amo il pensiero che conserva il profumo di sangue e di carne, e a una vuota astrazione preferisco mille volte una riflessione sorta da un’esaltazione dei sensi o da una depressione nervosa”.[14]
2. Il mondo creaturale
La prima impressione che si ha dalla pittura di Orlando Gasperini è dunque quella dell’indecifrabilità e dell’enigma. Tutto ciò che viene raffigurato è singolarmente riconoscibile, ma sfugge il significato delle composizioni e del loro contesto. Questo effetto è prodotto da alcuni elementi ben identificabili:
- l’assenza di localizzazione temporale: le sue figure sono per lo più poste in uno sfondo nero, solo in alcuni casi l’abito o altri accessori sembrano legarle al nostro tempo, ma spesso si tratta di segnali contraddittori che acuiscono l’effetto atemporale, come se quella raffigurata fosse una vicenda continuamente ripetuta; così in quo vadis il polittico San Sebastiano - Fuga in Egitto - San Rocco - Deposizione, in cui compare il riferimento a papa Giovanni Paolo II (con la scritta “Non abbiate paura”), la presenza di un San Giuseppe armato, di un San Sebastiano in jeans e di un costato trapassato da un colpo di fucile non crea un privilegiato riferimento all’attualità, ma piuttosto l’attualità è risucchiata in un temporalità mitica e ciclica sottolineata dai volti ieratici, ma soprattutto dal senso di abbandono che promana dalle figure del papa, della Vergine e del Bambino che volgono le spalle allo spettatore. Discorso analogo si può fare per Salve Regina e Padre Nostro in imago mundi; Decalogo I,II,III,IV,V; Decalogo VI,VII,VIII,IX,X e Vizi e virtù in carne e cielo;
- l’assenza di localizzazione spaziale: nei quadri è in genere assente ogni precisa localizzazione, talvolta la figura copre l’intera tela, altrimenti prevalgono gli sfondi neri, i rari paesaggi naturali (il mare, un picco) sono dei puri luoghi simbolici, le figure si muovono in un non tempo e in un non luogo. Una invarianza dei luoghi, una prevalenza di interni e di sfondi neri sembra voler sottolineare come i corpi appartengano a un mondo chiuso, immanente, senza uscita.
Questi effetti sono accresciuti da tre caratteristiche ulteriori:
- la nudità: se da un lato la rappresentazione del corpo ha il compito di farci intuire la grandezza del creatore,[15] dall’altro questa nudità è un ulteriore elemento di decontestualizzazione. Orlando conosce la complessa tessitura di significati che intreccia la nudità con la condizione umana nel pensiero cristiano,[16] dove la nudità rimanda sia alla condizione naturale dell’uomo, allo stato adamitico (nuditas naturalis), sia alla condizione di innocenza acquisita con la confessione e i sacramenti (nuditas virtualis). Nudo è anche il Cristo come povero lontano dagli orpelli del mondo e nudi sono i suoi seguaci (nuditas temporalis), secondo il precetto di San Gerolamo: nudus nudum Christum sequi.[17]
- la frammentarietà: è questo uno degli elementi decisivi per l’effetto di enigmaticità; le tele quasi mai riproducono figure intere: se viene rappresentato il volto questo è privo di corpo, più spesso è il corpo ad essere privo di volto (Virtù teologali; Decalogo; 4 cavalieri); in modo ancora più frequente i corpi sono ridotti a visioni frammentarie, tronchi, seni, pubi, glutei, parti del volto, arti (soggetti al corpo, soprattutto Nulla è cambiato; la natura delle cose, dove il mondo animato, quello inanimato e quello artificiale sono posti sul medesimo piano); una frammentazione che rimanda allusivamente alla pienezza. Dal punto di vista formale questa visione di frammenti rimanda alle tecniche del montaggio cinematografico e a certe inquadrature del fumetto.
- l’immobilità: le sue figure sono immobili nella tela, non vi è differenza tra allegorie e figure reali, tutto è come congelato, irrigidito, ricordano per questo gli oggetti “fermati in un istante” che compongono le nature morte.[18] La sua pittura è fredda, distaccata, a tratti allucinatoria; la fissità è accentuata dall’atomizzarsi degli oggetti, dall’entomologia del dettaglio. La pelle delle sue figure, una superficie levigata e fredda, rimanda al mondo dell’inorganico, appare pietrificata come la superficie lucida dei gioielli.
Da questa indecifrabilità promana l’incertezza, l’angoscia, la sensazione di vivere sotto un cielo vuoto. Non c’è luce nei quadri di Orlando Gasperini, ma una notte fitta. C’è la nostalgia e la sofferenza, la consapevolezza della necessità del divino,[19] ma ciò che predomina è la sua assenza, il cui primo atto è la cacciata, continuamente ricordata, dall’Eden.[20] L’effetto della fuoriuscita dal giardino è la sofferenza che nel mondo degli uomini prende l’aspetto dell’isolamento e dell’incomunicabilità.
La sofferenza fa parte dell’esperienza vissuta di Orlando Gasperini [21] che in alcune tele del 2004, anche in relazione a precise vicende biografiche, la racconta con una sorta di umorismo nero. La cacciata dall’Eden (distanze) è un quadro estremamente crudele: il corpo è trasparente, come in una radiografia e in ogni quadro del trittico compaiono contro il corpo o al suo interno strumenti medici, una flebo, le stampelle, i chiodi. Per l’uso dei colori che danno un effetto lancinante la stessa crudeltà torna nei I colori della vita e nel Libro estremo. Colori e tratto che dal punto di vista formale richiamano la Pop-art.
La raffigurazione della sofferenza è affidata anche alle immagini del Papa. Orlando ha colto in esse il rimando reciproco tra forza e sofferenza, l’inscrizione nel corpo del dolore che hanno caratterizzato gli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, icona della forza nel ciclo Vizi e virtù (Fortitudo). La sua esibizione di un corpo doloroso contrasta l’idolatria del corpo che pervade la nostra cultura, idolatria che non è da confondere con il rimando alla creazione, compito che è affidato alla raffigurazione del corpo. Anche qui è in gioco quel procedere per contrapposizioni che caratterizza la creazione delle immagini di Gasperini.
Sul piano del rapporto con l’altro, conseguenza del peccato è l’impossibilità di comunicare. Non c’è gioia negli amplessi ampiamente raffigurati, il suo mondo è un mondo di individui incapaci di comunicare tra loro. Questo vale per tutte le raffigurazioni della congiunzione tra uomo e donna: Dal Cantico dei Cantici, 8 Ct. 6,7; L’anima del corpo 6; Altari. Più frequentemente i corpi di uomini e donne sono solo accostati l’uno all’altro tracciando una distanza incolmabile (L’anima del corpo 1) o, come nel ciclo amori imperfetti, raffigurati nella loro solitudine.
Questo vuoto torna magistralmente nei ritratti: essi esprimono distanza e indifferenza. Non vi è pietas o condivisione in quegli sguardi glaciali, ma estraneità, lontananza. Volti con occhi impietosi che frugano, giudicano. Occhi(ali) raffigura una serie di occhi che dalla tela, come un unico essere, scrutano lo spettatore. L’effetto è un’inquietudine di fondo, una impossibilità di sottrarsi in uno spazio proprio. Allo sguardo è spesso associato il giudizio e dunque la colpa che lo attira.
La copertina del catalogo della mostra distanze riporta un particolare dell’olio Il fermaglio, che mostra la nuca di una figura femminile, con i capelli raccolti da un fermaglio d’argento. Il quadro comunica il senso di perdita e di distacco. Il volgere le spalle torna in diverse tele ed è attribuito a figure femminili o religiose. Gli orecchini, la catenina, lo stesso fermaglio rappresentano altrettanti segni di un legame: sono i regali che illudono le persone di legarsi l’un l’altra ma che restano solo segni esteriori, accentuando invece di mitigare la sensazione di lontananza. [22] Del resto, come afferma la scritta che compare in La cacciata dall’Eden (2003): “La sofferenza regala solitudine”.
3. Il mondo dopo la caduta
Il punto iniziale è certamente la caduta, la cacciata dall’Eden. Gli attori di questo originario dramma cosmico sono ampiamente citati: più volte torna il serpente (Genesi; De Sancti Antonii Tentationibus, qui con volto di donna) e Eva; una presenza continua è la mela (Genesi; Rotas; De Sancti Antonii Tentationibus), raramente compare l’angelo che inibisce il ritorno (De profundis). Eva non ha i tratti consegnateci dalla tradizione: afflizione, dolore, vergogna della propria nudità, ma piuttosto quelli dell’orgoglio e della durezza. Talora sembra che la caduta non la riguardi.
In Genesi la mela e un metallico serpente sono al centro di un trittico le cui figure laterali sono a sinistra un Adamo effeminato, ritratto di profilo, spettatore più che attore della vicenda. Si può dire che oggetto del trittico siano gli occhi: un occhio visto di lato di Adamo, mentre l’occhio tondo del serpente sembra essere uno degli occhi di Eva. I tre occhi sono allineati, mentre in primo piano vi è l’incavo del picciolo della mela, che richiama l’ombelico e dunque il ciclo delle nascite e delle morti e la stessa differenziazione sessuale. Nell’Eden non vi è né morte, né nascita, né sesso: dalla trasgressione di Eva discendono la maternità e l’amore terreno.
Nella parte inferiore del trittico De Sancti Antonii Tentationibus, viene raffigurato il peccato originale: le tre tele raffigurano un pube, che intuiamo essere quello di Eva; il serpente il cui volto è un volto muliebre e le cui spire sono rosse, unico colore caldo, acceso, come la mela; e un fallo. La caduta è interpretata secondo la tradizione medievale più come la scoperta della differenza sessuale che come peccato di orgoglio. È sempre la nudità ad essere raffigurata anche se la figura di Eva rimanda all’elemento della sfida e dell’orgoglio.
La mela è uno dei pochi elementi naturali che compaiono nei quadri di Orlando Gasperini. [23] Si tratta di un elemento dal forte valore simbolico: l’associazione tra il frutto dell’albero proibito e la mela avviene in epoca tarda complice il gioco di parole tra il nome dell’albero e gli effetti della colpa. Malum in latino indica infatti sia il frutto dell’albero, che il male. Inoltre la successiva interpretazione a sfondo sessuale della caduta ha finito con l’associare la mela alla sfera sessuale, tanto più che la sua forma tondeggiante richiama i tratti femminili. La mela è legata anche a Maria: nelle sue mani diviene il simbolo del riscatto dal male e dalla morte.
Della creazione precedente la caduta non sappiamo nulla: le citazioni bibliche ci rassicurano sulla sua bontà e sulla bontà del Creatore e l’universo di Orlando Gasperini è attraversato dalla sua nostalgia e dal desiderio del ritorno. La pienezza edenica si intuisce attraverso la soddisfazione della divinità per la sua opera: in Dio vide compare la scritta “E vide che ciò era buono” (Genesi 1. 12; 18; 21; 25; 31) e in L’anima del corpo 1 sono raffigurati due torsi con la scritta “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona” Genesi, 1. 31). Il corpo è forse l’unico aspetto del bene della creazione ad essere sopravvissuto ed è comunque l’unico ad essere rappresentato: se non con rare eccezioni nei quadri di Orlando non compare nessun aspetto della creazione se non frammenti di corpi su sfondo nero. Ma anche il corpo è stato sottoposto alla torsione della perdita, la cacciata ha coinciso con la separazione, la frantumazione: è l’immane potenza del negativo, la cui forza è tenere fermi i particolari.[24]
Possiamo dunque definire la pittura di Orlando Gasperini un’esplorazione del mondo successivo alla caduta, anche se questa locazione spirituale si è fatta via via più ambigua e passibile di altri scenari. Quello descritto potrebbe essere il mondo dopo l’apocalisse o l’oscuro regno di un crudele arconte, una imitazione crudelmente imperfetta della Creazione.
L’esplorazione del mondo creaturale si svolge seguendo la traccia fornita da citazioni bibliche che compaiono come parti integranti dell’opera.[25] Un ulteriore aiuto per la decifrazione è dato dai tatuaggi che compaiono su molte figure: il tatuaggio rimanda al suo aspetto sacrale e alla attuale banalizzazione e perdita di significato cui è stato sottoposto, ma anche ad una scrittura che si incide direttamente e indelebilmente nei corpi.[26] Questa trama di citazioni, insieme ai titoli delle opere e dei cicli, rendE evidente il significato delle singole figure, non è necessario operare attribuendo in modo più o meno gratuito simbologie generiche. Quello che casomai chiede di essere chiarito è l’universo che queste immagini vanno dischiudendo.
Inoltre se inizialmente la pittura di Orlando Gasperini poteva essere divisa tra i soggetti appartenenti alla pittura sacra e le opere che si richiamavano ad altri temi, la prosecuzione di questa esplorazione ha fatto si che essa costituisse un attrattore dell’intera opera pittorica: così anche i ritratti o soggetti profani, come quello di Tutti al mare, messi accanto ai quadri di più evidente soggetto religioso, appaiono brandelli, scorci, aspetti particolari di un unico mondo coerentemente raccontato.
Se una caratteristica di questa pittura appare subito evidente questa è infatti la sua coerenza. Nella varietà dei soggetti e dei temi è un’unica realtà che viene descritta, una realtà che di opera in opera prende contorni sempre più definiti. Il mondo successivo alla caduta è in preda all’angoscia, allo smarrimento, alla perdita di significato. Non è il mondo paolino della creatura che freme in attesa della redenzione, “proteso nell’attesa della rivelazione”, che “geme nelle doglie del parto” (Lettera ai Romani, 8.19-25). È il mondo che è stato privato della redenzione, in cui il ciclo inaugurato dalla cacciata e dal ritorno del dio si è concluso o semplicemente si è estenuato in una ineludibile entropia.
È il mondo della morte di dio, la terra desolata, il mondo da cui gli dei si sono ritirati descritto dai romantici, il mondo del moderno, il regno piovoso di Baudelaire, il mondo frantumato, il mondo di rovine del barocco.
Ed è il barocco ad istituire un rapporto tra il mondo in frantumi e l’allegoria. Molti lavori di Orlando, soprattutto nei cicli carne e cielo e quo vadis, sono il tentativo di rappresentare visivamente concetti. Come scrive Walter Benjamin, il più acuto geografo del paesaggio culturale del barocco, “le allegorie sono, nel regno del pensiero, quello che sono le rovine nel regno delle cose”. Le composizioni barocche accumulano continuamente frammenti “nella persistente aspettazione di un miracolo”.[27] Anche il corpo umano non costituisce “un’eccezione al comandamento che ordina di smembrare l’organico, per poi leggere nei suoi frammenti il significato vero, fissato, come scritto”.[28]
La situazione dell’uomo è quella descritta da Onorio di Autun: “dopo il peccato, l’uomo conosce il male per esperienza, il bene soltanto per scienza”. Non siamo infatti più capaci di percepire in modo immediato la presenza del divino: Dio è lontano per la nostra incapacità di entrare in contatto con Lui. In Decalogo I il primo comandamento, “Io sono il Signore Dio tuo non avrai altro Dio all’infuori di me”, è affidato al volto di una statua. Non solo dunque si tratta di un rapporto indiretto, che passa attraverso l’immagine e non la presenza di Dio, ma richiama anche la discussione sulla liceità della sua rappresentazione.
La lontananza di Dio è spesso mostrata direttamente come in San Sebastiano - Fuga in Egitto - San Rocco – Deposizione dove la Vergine e il Bambino voltano le spalle all’osservatore; in My life Cristo (My God) si trova tra lo sguardo penetrante della madre e quello enigmatico del gatto. Tutte le figure sono ritratte nel volto (di profilo e di fronte), solo Cristo è una figura intera: in primo piano le ginocchia sanguinanti, il resto del corpo coperto da un lenzuolo e il viso barbuto rivolto verso l’alto. Ricorda la rappresentazione del Cristo morto in Salve Regina. Inoltre è l’unica figura di cui gli occhi non sono in primo piano. Altre volte è mostrato attraverso segni come il volto impresso nella sindone o mediante il triangolo con l’occhio.
La possibilità di attingere il divino da cui ci separa una distanza incolmabile è tutta dal lato del Creatore. La creatura può cercarlo in sé, nel proprio raccoglimento interiore, facendo il vuoto, scrutando il buio e gli interni severi delle chiese romaniche rievocati dallo sfondo nero delle sue tele: in quel nero si manifesta il sacro, la tensione verso Dio nell’imperfettibilità dell’uomo.[29] La religiosità di Orlando è un arco teso tra il primo libro della Genesi, la narrazione della Creazione e il compiacimento per essa, cui idealmente è accostabile il Cantico dei cantici, e i vangeli della passione, cui si lega il Qohélet.
Il rapporto con Dio è un’esperienza che appartiene unicamente all’individuo. Non esiste mediazione: la Chiesa e i suoi riti sono completamente mondanizzati. Così nei Sette sacramenti, ognuno di essi è rappresentato come la decorazione di una torta da pasticceria ricca di creme e di glasse colorate, creme in cui i simboli e i richiami religiosi stanno inesorabilmente affondando. In un quadro recente, Le tentazioni (2005), che fa parte di un ciclo che legge i Vangeli della Quaresima, la Chiesa è rappresentata come una prostituta:[30] una giovane donna che indossa un costume da bagno rosso damascato, con raffigurati tralci e grappoli, cinta da una stola verde, colore della liturgia del tempo ordinario, che raffigura due arcangeli e Cristo e un demone uno di fronte all’altro.
La desolazione del mondo è narrata soprattutto nei cicli imago mundi e quo vadis, ma anche le grandi tele di Tutti al mare ci consegnano non il mondo gioioso, ma incomunicabilità, estraneità e solitudine. A tratti sembra essere l’inferno: un mondo dove i demoni camminano accanto agli uomini, come in Drive all night e Drive all day. e dove i cavalieri dell’apocalisse sono già fra noi, sotto apparenze normali (4 cavalieri). Un demone dalle grandi ali nere su uno sfondo rosso, in posizione accovacciata, senza volto è al centro del trittico Anime salve. Nelle due tele laterali quattro figure di uomini in pose innaturali e contorte. I quattro cavalieri dell’apocalisse sono rappresentati come uomini elegantemente vestiti, i loro volti fuoriescono dalla tela. Sul lato destro di ogni quadro i versetti corrispondenti dell’Apocalisse di Giovanni a suggello dei quali compare una carta Visa.[31] Forse la fine del mondo c’è già stata, non ce ne siamo accorti e se la redenzione è avvenuta non lo sappiamo, comunque non ci ha riguardato, forse l’inferno si sconta vivendo.
Oltre ai demoni, accanto agli uomini, sono presenti angeli e santi. Tranne rare eccezioni il resto della natura è scomparso: unica figura viva e non caricata dell’allegoresi come la rosa o il serpente o la tigre è il gatto.[32] La tigre, che si vede in Orfeo e Sancti Hieronimi solitudo; rappresenta Cristo è una citazione, proveniente dai bestiari medievali riveduti da John Donne, che ritorna in Gerontion di Thomas Stern Eliot;[33] mentre il ghepardo di De sancti Antonii tentationibus figurativamente richiama l’Orfeo di Luigi Bonazza.
Agli angeli e ai santi sono affidate le schegge del divino. Più ai santi, cui è attribuita la funzione di esemplarità, che agli angeli i quali sono in qualche modo accomunati all’uomo nella caduta: “il peccato dell’Angelo inaugura quello dell’uomo nella sua essenza più propria”.[34]
Gli angeli, spesso solo richiamati (L’angelo custode, in amori; Spes), sono presenti soprattutto nelle tele Drive all night, Drive all day e in De profundis. Nella prima è leggibile il richiamo all’episodio biblico dell’unione tra angeli e uomini che precede il diluvio: “Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero” (Genesi, 11, 1-2).
Ma anche gli angeli assomigliano più alle figure intermedie descritte da Kafka o agli angeli di Wim Wenders ne Il cielo sopra Berlino. Qui gli angeli non sono né belli né eterei o maestosi. Sono comuni, dubbiosi, lontani da Dio e vicini agli uomini. Camminano al nostro fianco invidiando quasi la nostra umanità.[35]
In De profundis sono rappresentate due figure viste di fronte su uno sfondo nero. Si vedono solo i tronchi, al centro una scritta: de profundis. La figura di destra è femminile ed armata di spada, la figura di sinistra è maschile, presenta un taglio sul costato da cui cola una goccia di sangue. In mano una rosa rossa. Di primo acchito sembrano due angeli, la spada ricorda l’angelo messo a guardia dell’Eden, poi, a ben guardare solo la figura maschile possiede le ali.
Si tratta di un angelo dimesso, lontano dallo splendore del divino, un pellegrino, un viandante che attraversa le vie del mondo. Nonostante la nera distanza incolmabile qualcosa lo lega alla figura femminile da cui la spada sembra averlo rescisso e separato. Se compito dell’angelo è raccordare “cielo e terra, infinito e finito, eternità e storia, Dio e uomo”,[36] qui tale raccordo fallisce in una disperante immanenza.
I Santi sono tra i pochi personaggi a mostrare il loro volto. Riconosciamo San Rocco, San Giuseppe, San Sebastiano (San Rocco, Fuga in Egitto, San Sebastiano), San Gerolamo (Sancti Hieronymi Solitudo), Sant’Antonio (De Sancti Antonii Tentationibus), San Francesco. I santi sono riconoscibili dagli attributi della tradizione iconografica: il pane, la piaga, il cane per San Rocco; le frecce e l’aspetto efebico per San Sebastiano.
Il trittico San Francesco, San Giorgio Deposizione, rappresenta a sinistra un san Francesco nudo di spalle, appoggiato sulle caviglie, le mani con le stimmate si protendono verso una croce dorata, di cui vediamo solo l’asta verticale. A terra i jeans, un telefonino, un orologio, le sigarette. Al centro la deposizione: una figura distesa su un letto coperto da un copriletto che potrebbe essere anche una tovaglia, con riferimento all’ultima cena. Nei quadri della tovaglia è inserito il quadrato magico: tenet opera sator,[37] qui citato nella sua interpretazione di cruces dissimulatae. La figura presenta una sottile ferita al costato. Una mano copre il pube, mentre l’altra è abbandonata a toccare terra dove si trova una mela. Evidente raffigurazione del contrasto tra Adamo e il Cristo.[38] Il terzo elemento del trittico raffigura San Giorgio. Il santo è riconoscibile per la postura nell’atto di trafiggere il dragone, solo che qui il drago è una figura maschile sdraiata nella quale si conficca all’altezza del ventre la lancia del santo. La lettura di questa figura è complessa: non appare una personificazione del male, se non per una canna di fucile che stringe tra il braccio e il corpo, un richiamo alla guerra, ma appare ambiguamente una vittima, il cui volto rivela le fattezze dell’autore. Come ha osservato Paul Renner qui San Giorgio “insegna a combattere non i nemici che la nostra mente crea, ma il nemico che si annida nel nostro intimo”.[39]
A riprova del ruolo dei santi nel nostro mondo Orlando Gasperini ha aggiunto alle sette virtù la Sanctitas (raffigurata però da una Madonna). Si tratta per lo più di eremiti, come sant Antonio, San Girolamo o San Rocco, o portatori di un’intensa esperienza di ricerca di Dio come San Francesco. Eremiti, staccati dal mondo, che attraverso la sofferenza carpiscono il mistero del divino, che si rivela solo lontano dal chiasso, nel raccoglimento, nel vuoto interiore, nel buio e nel silenzio.
Questo complesso rapporto è reso nell’Annunciazione che mostra una mano poggiata su una patta di una Madonna in jeans. La seconda tela del dittico mostra la rotondità di un gluteo nudo, il corpo nudo dell’angelo. La composizione accentua il lato ambiguo: la donna è riconoscibile per un leggero pizzo e per le unghie laccate su delle mani forti da lavoratrice. Tutto il peso del riconoscimento della scena è affidato alle parole del Magnificat e al tenue riflesso sull’anello dove compare la parola Ave leggibile anche come Eva. Il quadro si sottrae a una lettura blasfema nel suggerire come il sacro possa sfiorarci in ogni momento camminandoci accanto.[40]
4. Il tema del corpo
Le accademie hanno ordinato in senso gerarchico i generi: pittura di argomento storico, pittura religiosa, paesaggio, nudo, natura morta e ritratto. Orlando lavora prevalentemente su tre: la pittura religiosa, il nudo, e il ritratto, ma ne modifica le convenzioni che li definiscono. La pittura di Orlando più che di pittura di nudi è pittura di corpi. Del resto non basta la presenza del nudo per classificare un quadro come “pittura di nudo”. Come ha osservato Kenneth Clark, il nudo è una forma d’arte particolare, con regole proprie,[41] e se intendiamo il nudo come genere, certamente questa pittura non ne segue le regole e le convenzioni.
Il corpo riveste un’importanza fondamentale nella pittura di Orlando Gasperini.[42] Sul corpo sembra ricadere l’intero peso del creato. In un mondo privo di paesaggi, di animali, di piante, perfino di minerali l’unica testimonianza del creato è il corpo. Inoltre Orlando intreccia strettamente il tema del corpo a quello del sacro. Del resto nel pensiero cristiano il corpo riveste un posto centrale: l’uomo è creato a “immagine e somiglianza” (Genesi, 1. 26) di Dio; l’umanità è salvata attraverso l’incarnazione, il farsi carne del Verbo è l’evento centrale del cosmo ripetuto continuamente nel rito della Messa; il sacrificio del figlio dell’uomo consiste nella distruzione del suo corpo (carnalità delle rappresentazioni sacre); le metafore del corpo permeano il lessico della Chiesa.[43] Il mistero e lo scandalo del Cristianesimo è la resurrezione dei corpi, la sconfitta della morte anche dei corpi, della materia.
Non deve stupire l’accostamento corpo/simboli religiosi soprattutto corpo/altare in quo vadis Altari. I molti altari costruiti dall'uomo conducono ad un altare vivente: il corpo sacrificato del Cristo sulla croce. Altare nuovo e definitivo in cui Dio incontra l'uomo: l’altare di pietra rimanda all'altare vivo da cui viene ogni benedizione e grazia. Ma come il corpo del Cristo rappresenta l’altare vivente, questo può essere anche il corpo degli uomini. Scrive San Paolo: “Non sapete voi che siete tempio di Dio e che lo spirito di Dio abita in voi? Or, se uno distrugge il tempio di Dio, distruggerà se stesso, perchè il tempio di Dio quali siete voi è santo” (1 Corinti, 3.16-17). E più oltre: “Non sapete voi che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che abita in voi, Spirito che avete da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi?” (1 Corinti, 6.19).
Il corpo ci è dato per esprimere all’esterno la nostra appartenenza al Signore e la glorificazione del suo nome. La relazione sessuale è una modalità di questa manifestazione, che per volere di Dio acquista anche forza sacramentale, ossia esprime il legame di Cristo con la sua Chiesa e ne diffonde efficacemente la grazia santificante su tutto il Corpo mistico del Signore. Il brano di San Paolo si chiude con l’esortazione: “Glorificate dunque Dio con il vostro corpo” (1 Corinti, 6,20).
Il secondo comandamento, “Non nominare il nome di Dio invano”, è inscritto direttamente su un corpo maschile: due mani giunte tatuate sul collo.
Il corpo è un luogo cardine di tutte le religioni in quanto è punto di contatto tra mondo materiale e spirituale. Per questo è al centro di una molteplicità di pratiche, di procedure di disciplinamento che variano a seconda che il corpo sia inteso come “carcere” dell’anima o come suo specchio. Nella cultura occidentale questa centralità ha costruito una rete di saperi e di pratiche in cui il corpo è stato avvolto. I rapporti di potere che passano attraverso lo spessore dei corpi sono stati descritti da Michael Foucault attraverso un’analisi di come il potere agisca sui corpi attraverso il sesso, la malattia, il dolore, le nevrosi, le costrizioni. Questo potere dà luogo a una serie di pratiche supplizi, costrizioni, discipline, cure, diete, regole, divieti che hanno origine da una molteplicità di saperi e dalla trasformazione del corpo in quello che lo stesso Foucault definisce il carnaio dei segni.
Ma il corpo è anche l’apertura mistica sull’assoluto. Se a partire dal Simposio di Platone in una parte del pensiero greco e medioevale la separazione in maschio e femmina è vista come una punizione, tanto che molti circoli cristiani e gnostici hanno mostrato delle tendenze androginiche, vedendo nell’ermafrodita un simbolo della perfezione umana,[44] il pensiero ebraico ne ha una visione positiva. Da questa traduzione nasce la lettura letterale e sessuale del Cantico di contro alla lettura prettamente metaforica del cristianesimo. Moshe Idel osserva come in questa tradizione “la pura unione del maschio e della femmina costituisca un atto di restaurazione”; “l’atto sessuale è concepito come dotato di poteri teurgici […] matrimonio ed unione sessuale hanno un enorme impatto sui mondi superiori”.[45]
Altra questione è il tema della nudità. Innanzitutto, come ha acutamente osservato François Jullien, “il Nudo innalza l’uomo in disparte dal mondo, e lo isola”, il “suo effetto è generico”. Ed è proprio questo effetto che fa sì che il nudo funga “da concetto dell’uomo”, lo identifichi “con la sua coscienza”,[46] lo separi dalla natura facendone un essere del tutto particolare, lo isoli dal contesto, dalla sua stessa epoca, aspetti che Gasperini riproduce nelle sue tele. È la terribile solitudine dell’uomo in seno alla creazione che ci è trasmessa da questi nudi.
Inoltre la nudità è una situazione che è stata strettamente legata alla sacralità. Un ovvio riferimento è rappresentato dall’opera di Georges Bataille, che costruisce una vera e propria ontologia della nudità e attraverso la vertigine collega nudità e sacralità. L’erotismo scrive, “ha come principio la distruzione della struttura dell’essere conchiuso” e “l’azione decisiva ha nome denudamento. La nudità è la negazione della condizione dell’essere chiuso in sé, la nudità è uno stato di comunicazione, che rivela una possibile totalità dell’essere, al di là del ripiegamento su se stesso. I corpi si spalancano alla fusione grazie a quegli organi nascosti, che ci impartiscono il senso dell’osceno”.[47]
Ma Orlando Gasperini non rappresenta mai la vertigine che nasce dalla nudità, sembra che egli sappia con Bataille che l’atto sessuale “dissolve gli individui che ne prendono parte, ne rivela la possibilità di fusione, rammenta lo sprofondare in acque tumultuose”,[48] ma al tempo stesso che questa via di ritorno all’unità è preclusa. Nei suoi quadri il corpo è si la porta sull’altrove, ma ora è una porta chiusa, un vicolo cieco: la pesantezza del mondo ci tiene incatenati al mondo sublunare.
Del resto possiamo dire belli questi corpi? Rappresentano la bellezza della verità? Non sono piuttosto di una bellezza sterile? fredda, algida, lontana, stellare, distante – che non lenisce carnalmente la nostra disperazione, ma ci lascia ancor più spossati e prostrati?
Guardiamo la raffigurazione degli amplessi: Cantico dei cantici;[49] Altari. In entrambi i casi sono rappresentate due solitudini, i due non sono uno, non prefigurano la pienezza perduta, il ritorno al mondo edenico, ma il fallimento del rito. Lo stesso colore dei corpi è quello della morte non della vita: è un colore grigiastro che ricorda quello dei corpi del ciclo Morgue di Andrei Serrano, che rimanda non a qualcosa di vivo, ma di irrigidito, pietrificato.
Quello di Orlando Gasperini non è il corpo del desiderio, né dell’apertura all’altrove. Rappresenta la carnalità dei concetti, vorrebbe rimandare concretamente ad un altrove, ma il rimando fallisce. Corpi malinconici, tristezza per una mancata promessa di felicità. È comunque l’unica sorgente di speranza, l’unico luogo dove si è preservata, sia pure depotenziata, la potenza della creazione. Se c’è speranza, e non è detto che vi sia, essa va cercata nell’unione dei corpi, nella sperimentazione dei loro confini, nella ricerca di un apertura, non ancora trovata, verso l’altrove.
5. Maschile e femminile
L’incontro tra i corpi è l’incontro tra maschile e femminile. Incontro che nelle tele di Orlando prende spesso l’aspetto della contrapposizione dei sessi successiva alla caduta. Contrapposizione che si manifesta sul piano psicologico come incomprensione e distanza e su quello ontologico come ricerca e desiderio di una complementarietà capace di modificare la condizione umana.
In un dialogo con Luca Coser, Orlando aveva affermato che ciò che lo spinge a creare è il “tentare una traccia che possa in qualche modo interagire con la realtà in modo magico, alchemico, rituale”.[50] Da sempre rito, alchimia e magia si sono mossi utilizzando la polarità maschile/femminile come campo di forze. Che poi per queste sue rappresentazioni si possa parlare di maschile e femminile come polarità è del tutto giustificato dalle sue figure acefale, che non sono riconoscibili se non dagli elementi anatomici che permettono una semplice identificazione per genere.
L’elemento femminile è connotato dalla autosufficienza, dalla durezza, un lato stellare, freddo, crudele. Uno degli archetipi del lato distruttivo della femminilità è tradizionalmente rappresentato dalla strega, figura che torna anche nella pittura di Orlando: Strega – amori; My life 9. La figura femminile di De profundis sul seno ha il tatuaggio di una Torre e la scritta Turris Eburnea. L’espressione, tradizionalmente associata a Maria, proviene dal Cantico dei Cantici, ed è una lode della bellezza del collo dell’amata, candido e adorno: collum tuum sicut turris eburnea (7,4). L’immagine della torre suggerisce quella della inaccessibilità: inaccessibilità al male (Maria è santa) e alla concupiscenza (Maria è vergine).
Vi è nelle sue figure femminili una insensibilità e un egoismo sottile (Amore imperfetto 1; Lei), quasi una illustrazione della massima di Cioran secondo cui tra uomini e donne ci sono solo due modi di relazionarsi: la crudeltà o l’indifferenza.
Nella nudità dei corpi femminili vi è qualcosa che sembra porre questo denudarsi oltre lo spogliarsi di una singola persona per richiamare una fascinazione che ha che fare con qualcosa di segreto e di pericoloso. La percezione di un fondo vertiginoso e inviolabile: si veda ad esempio Il lupo (distanze) dove la nudità è collegata a qualcosa di elementare, di una sostanza prima della creazione, di abissale che precede ogni individuazione. Un effetto analogo è dato in natura delle cose dall’accostamento tra il muso di un lupo e un ombelico al centro di un ventre rotondo.
Un terzo elemento che caratterizza le rappresentazioni femminili è l’alternarsi dell’aspetto stellare e vertiginoso alla disposizione materna (Caritas; Quo vadis 5), che però non è mai condivisa, ma appartiene in toto alla donna.
Di fronte a questa complessità l’uomo appare come un elemento passivo connotato da fragilità e incertezza. Inoltre se alcune raffigurazioni della donna rimandano a questo fascino primordiale, al suo attrarre magneticamente l’uomo, questo è rappresentato spesso nella (sia pure stravolta) dimensione del fare e del produrre in un rapporto con il mondo quotidiano (4 cavalieri; amori; Decalogo VIII).
Uomini e donne sono spesso rappresentati vicini ma a una distanza incolmabile (Amore imperfetto 1; L’angelo custode; My life 12; Vietato ai minori 6). Una serie di oggetti legano i corpi, si tratta di anelli, braccialetti, catenine con crocifissi o fedi, anelli, li legano senza tuttavia unirli, simbolo di un rapporto solo esterno.
Anche nella rappresentazione dei corpi i particolari anatomici delle figure femminili sottolineano questa distanza e distacco. Vi è infatti una asimmetria nella rappresentazione dei nudi: tanto dettagliata è la rappresentazione del nudo maschile (non solo il fallo, ma anche la muscolatura) allo stesso modo è evasiva quello del nudo femminile. Si limita al pelo pubico, non è mai rappresentata la vagina. Il corpo femminile è un corpo liscio, senza presa, senza “ingresso”, non mostra alcuna fenditura,[51] è un corpo cercato, ma inaccessibile.
I particolari anatomici si ritrovano anche nella serie la natura delle cose, che rappresenta una sorta di “alfabeto delle cose”. È infatti costituita da una serie di elementi base, unità di significato minime, che possono essere combinati in un unità di significato più vaste. La mostra relativa a questo ciclo (Telve 2000) prevedeva la disposizione delle tessere (si tratta di olii di 15 per 15) sul pavimento e la libertà per il visitatore di comporle a suo piacere.
Nella disposizione dell’autore, che riproduce solo 24 delle 37 tessere, queste sono ordinate in quattro gruppi di sei elementi il primo ordina una bottiglia di coca cola e un cellulare, un mouse e due labbra femminili, il Sacro cuore e un lumino; il secondo: il triangolo con l’occhio e un fallo, un pube femminile e il serpente, un uovo e un bicchiere d’acqua; il terzo il muso di un lupo e un ombelico di donna, una foglia e un iris, un sasso e una calle; infine un tulipano rosso e una mela, una corteccia e un ciotolo di fiume, una foglia e una conchiglia.
Sono visibilissimi gli elementi che rimandano alla polarità maschile e femminile nel loro intrecciarsi tra il piano del sacro e del profano.
Gli elementi artificiali, la bottiglia, il mouse, il cellulare danno le coordinate del mondo vuoto, della distrazione e della mondanità. Gli elementi naturali rimandano ad un codice nascosto nella natura e a simboli religiosi: l’iris simboleggia la Trinità; la calle la verginità; l’edera sempreverde è simbolo di vita eterna.
Uno dei particolari anatomici che ricorre più frequentemente è l’ombelico: la sola traccia del cordone che ci univa al corpo materno fino alla nascita,[52] un segno che rimanda non solo alla nostra nascita, ma anche alla nostra natura di mortali. L’ombelico infatti rinvia al ciclo di nascita e morte istauratosi dopo la caduta: solo chi nasce da donna possiede un ombelico, per questo una lunga tradizione vuole Adamo ed Eva senza ombelico, proprio come gli esseri androgini di Platone, per i quali l’ombelico rappresenta il ricordo della punizione inflitta da Zeus.[53]
Quello che qui interessa è il gioco tra la raffigurazione di Dio come triangolo con l’occhio e il triangolo rovesciato di un pube muliebre; tra un fallo e il serpente, mentre la terza coppia uovo/acqua rimanda ai simboli di rinascita. Il primo, l’uovo, è un simbolo universale sacro in tutte le civiltà arcaiche che richiama l’uovo cosmico. Nell'iconografia cristiana, l'uovo è il simbolo della Resurrezione: il suo guscio rappresenta la tomba dalla quale esce un essere vivente e nell'uscita del pulcino dall'uovo i primi cristiani raffiguravano un'espressiva simbologia della resurrezione di Cristo. L’acqua è invece legata al rito del battesimo e ad una seconda nascita.
Nonostante nella raffigurazione dei corpi prevalgano i seni e i falli,[54] si può parlare di una desessualizzazione. I genitali sono privi di erotismo, i corpi mostrano la stanchezza, l’apatia, la tristezza, lo smarrimento. Spesso viene semplicemente raffigurato il pelo pubico, lasciando una voluta ambiguità, una indeterminatezza di genere, tanto che dobbiamo sollevare lo sguardo per risolvere l’ambiguità.
In Dio vide i corpi sembrano una semplice variazione di un’unica immagine originaria. La donna non è la parte mancante dell’uomo, l’elemento umbratile e liquido, ma ne viene sottolineato il lato distruttivo. Si veda in Genesi la sovrapposizione di Eva con il serpente, quasi a formare un'unica figura.
Tutto ci rimanda al mondo della caduta e ai nostri tentativi di risalire al di là di esso. La via che ci additano i santi è quella della solitudine e della lotta con sé stessi. L’altra, quella della coniuctio, dell’alchimia, del superamento della polarità di maschile e femminile, ci è preclusa ed è solo un riverbero della nostalgia dell’assoluto.
La pittura di Orlando Gasperini ci obbliga a riesaminare alcune nostre convenzioni e abitudini, ci offre uno sguardo diverso sul mondo che non ci consola, ma piuttosto svela l’angoscia e l’inquietudine che stanno al di là della sottile crosta rassicurante del quotidiano.[55] È una visione che non porta sollievo, ma inquietudine, ci obbliga a collegamenti non abituali, ci esilia dal mondo conosciuto.
7. Note
[1] Questo articolo è stato discusso con Alessandro Fontanari e Vittorio Fabris che ringrazio per le pertinenti osservazioni.
[2] Nei diversi cataloghi le opere si presentano con titoli diversi e talvolta i polittici hanno parti diverse. Per ovviare a questa incertezza i titoli delle singole opere e dei cicli sono presi dal sito web (http://gasperini.altervista.org). In seguito i singoli quadri saranno indicati in corsivo, i cicli in maiuscoletto.
[3] Dei cicli è riportato l’elenco in appendice. Tra i polittici per la sua struttura particolare è da ricordare il Salve Regina, paragonabile a una “sequenza filmica”, che assembla sei pezzi di dimensioni diverse alla cui base giace un inquietante Cristo morto (Giovanna Nicoletti (a cura di), Carne e cielo, Scurelle, Litodelta 1999).
[4] A questo proposito nel corso di uno dei colloqui con Orlando Gasperini che hanno accompagnato nell’estate 2005 la stesura di questo testo ha affermato esplicitamente: “Più importante è cosa dipingo, non come dipingo”.
[5] Mario Praz, “La tradizione iconologia”, prefazione a Cesare Ripa, Iconologia, Vicenza, Neri Pozza 2000.
[6] Emblema dal latino “emblema”, letterariamente “cosa inserita” significa figura simbolica; impresa, dal latino “impresum”, “preso sopra di sé”, ha il significato di immagine simbolica di una caratteristica morale, di un precetto o norma. L’Emblematum liber (in prima edizione nel 1531) di Andrea Alciato, raccoglie una notevole serie di immagini allegoriche , accompagnate da un motto o sentenza, e da una dichiarazione in versi o un commento in prosa. Ma il riferimento più diretto per le tele di Gasperini è l’Iconologia di Cesare Ripa.
[7] “Bisognoso com’era di certezze sensuali, il secentista non si fermò all’idoleggiamento puramente fantastico dell’immagine: volle estrinsecarla, proiettarla in un geroglifico, un’emblema, si compiacque di rincalzare la parola con una rappresentazione plastica aggiunta” (Mario Praz, Studi sul concettismo, Firenze, Sansoni 1947, pg. 7).
[8] “I segni che utilizzo (iconografia classica e popolare della religione cattolica) diventano così allegorie del vuoto e del nulla, simboli privati della loro ritualità che sfiorano solamente una pallida parvenza di verità” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, Rovereto, Nicolodi 2000, p. 38).
[9] Cesare Ripa, Iconologia, op. cit., pp. 48-49. Il riferimento al Ripa, più che in una puntuale ispirazione, è nel suo aspetto di catasto di immagini, allegorie, simboli, metafore senza distinzione tra cultura dotta e popolare e senza alcuna preoccupazione storica o critica.
[10] Si veda l’intervento di Maurizio Scudiero in Maurizio Scudiero (a cura di), Distanze, Rovereto, Nicolodi 2005.
[11] Da Manritte sono ispirati i primi lavori (di cui non c’è traccia nel sito), ma si veda ad esempio il ciclo Piccoli (S)Oggetti oCome i cavoli a merenda e le opere dal titolo Femme-bouteille (1940-1948). David Sylvester (a cura di), René Magritte. Catalogue raisonné, vol. II: Oil, paintings and obiects 1931-1948, Milano, Electa 1993.
[12] Siegfried Gohr, Manritte, San Francisco, Museum of Modern Art 2000.
[13] “Tutti parlano di teorie, di dottrine, di religioni; insomma di astrazioni; nessuno di qualcosa di vivo, di vissuto di diretto. La filosofia e il resto sono attività derivate, astratte nel peggior senso della parola. Qui tutto è esangue. Il tempo si converte in temporalità, ecc. Un ammasso di sottoprodotti. D’altro canto gli uomini non cercano più il senso della vita partendo dalle loro esperienze, ma muovendo dai dati della storia o di qualche religione. Se in me non c’è niente che mi spinga a parlare del dolore o del nulla, perché perdere tempo a studiare il buddhismo? bisogna cercare tutto in se stessi, e se non si trova ciò che si cerca, ebbene, si deve lasciar perdere. Quello che mi interessa è la mia vita. Per quanti libri sfogli, non trovo niente di diretto, di assoluto, di insostituibile. Dappertutto è il solito vaniloquio filosofico” (E M Cioran, Quaderni, op. cit., pp. 148-149).
[14] Giovanna Nicoletti (a cura di), Carne e cielo, op. cit.
[15] La nudità che rappresenta “la bellezza dell’uomo è frutto della grandezza di Dio e mostrarla è un glorificare Dio” (Orlando Gasperini, estate 2005).
[16] “La nudità è assunta come elemento primordiale che richiama ad una purezza e sacralità perdute e rimanda costantemente alla condizione umana fragile e caduca” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, Rovereto, Nicolodi 2000, p. 38).
[17] Erwin Panofsky, Studi di iconologia, Torino, Einaudi 1975, pp. 205-221; I. Steinberg, La sensualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’epoca moderna, Milano, Il Saggiatore 1980.
[18] Su questo Giovanna Nicoletti, “Carne e cielo si incontrano altrove”, in Giovanna Nicoletti (a cura di), Carne e cielo, op. cit.
[19] Ciò che mi spinge a creare è il “tentare una traccia che possa in qualche modo interagire con la realtà in modo magico, alchemico, rituale […]. Ciò che rimane, in fondo, è la sola traccia e il desiderio racchiuso in essa di riuscire a lenire il senso di solitudine e il dolore che racchiude l’umana esistenza” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, op. cit., p. 39).
[20] “Il sacro rimane quale coscienza di una redenzione possibile, ma solo grazie all’aiuto del Creatore, coscienza riposta nel profondo senso della vita, svilita, violentata e tradita quotidianamente dai limiti dell’essere umano. La salvezza è possibile, ma non in questa vita, di qui la profonda nostalgia dell’Eden” (Orlando Gasperini, estate 2005).
[21] “Pongo lo sguardo su questo paesaggio frammentario e immobile e, attraverso la lente del dolore, lo fisso nel tentativo di esorcizzarne almeno la parte più disperante” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, op. cit., p. 38).
[22] “Ecco che la famiglia e gli amici diventano […] il solo ambito possibile dove concretizzare questa esperienza di assoluto nella vita terrena” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, op. cit., p. 38). Alla luce delle ultime opere questa affermazione non sembra più sottoscrivibile. I ritratti, anche di amici e familiari in distanze presentano la stessa fredda lontananza, la stessa vacuità che caratterizza tutto il mondo creaturale.
[23] Troviamo i fiori (giglio, calle, e più spesso la rosa) e tra gli animali, oltre al serpente, il gatto, la tigre, il lupo e il cane.
[24] “Ma che l’accidentale ut sic, separato dal proprio ambito, che ciò che è legato nonché reale solo nella sua connessione con altro, guadagni una propria esistenza determinata e una sua distinta libertà tutto ciò è l’immane potenza del negativo” (Georg F. W. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Firenze, Nuova Italia 1972, p:??). Considerazioni analoghe sono svolte da Freud in Inibizione, sintomo, angoscia (1925). Il diavolo è il beffardo, l’ironico, colui che si fissa e si annida nel dettaglio, nel particolare.
[25] In Carne e Cielo: La preghiera del Salve Regina, I vizi e Virtù; De Sancti Antonii Tentationibus, nel Sancti Hieronymi Solitudo il tatuaggio Rosa mistica. In My life: nel De profundis il tatuaggio della Torre con Turris eburnea; My family (is a work of art!)¸ Nella serie dei pastelli - l’ ultima strofa della poesia “Torture” di Wisława Szymborska: “Nulla è cambiato,/ tranne il corso dei fiumi,/ la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai/ Tra questi paesaggi l’animula vaga,/ sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,/ a se stessa estranea, inafferrabile,/ ora certa, ora incerta della propria esistenza,/ mentre il corpo c’è, e c’è, e c’è/ e non trova riparo” (Vista con granello di sabbia : poesie 1957-1993 Milano Adelphi 1998, p 165). In Quo vadis: La preghiera del Padre Nostro che si rincorre e si sovrappone, nel tondo con lo stesso titolo; “Non abbiate paura” nel polittico della fuga in Egitto
In Bestemmie da Matteo, Giobbe e Isaia: “Elì, Elì, lemà sabactani? Padre mio se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”; “Non piangi? E tu Betlemme, terra di Giuda non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda, da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele”; “Agnus Dei. La mia forza è forza di macigni? La mia carne è forse di bronzo? Non v’è proprio aiuto per me? Ogni soccorso mi è precluso?”
Imago Mundi: “Questo mio popolo mi onora con le labbra ma il so cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini”
Il Rotas Opera Tenet Arepo Sator nel trittico della deposizione. I Versetti dell’Apocalisse nei Quattro Cavalieri.
In Distanze: La vita… : La vita lieve – Oh mi accadesse quanto invoco; La vita breve – Spermasangueamoreodiomorte; La vita inquieta – Un grosso sasso ogni hor tormenta; La vita eterna – Essa è vicina e si può trovare…; I colori della vita: Io sont la morte che porto corona… (è il testo che corre sotto la danza macabra di Pinzolo); Il Libro estremo: Ha tutto sotto il cielo una stagione…(Qohélet 3, 1-8); La cacciata dall’Eden: La sofferenza regala solitudine; in Ex voto: (S)propositi del cuore…con i vari passi delle promesse matrimoniali; Nei due grandi nudi: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”; Nel trittico piccolo: “Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male”.
In Genesi: “Non morirete affatto ! Anzi…”; in Annunciazione il Magnificat
Nei piatti del Pane quotidiano le tre preghiere del Pater Ave e Gloria con la scritta che li rincorre “pregare per o pregare con”.
[26] I tatuaggi Rosa mistica (sul seno del nudo femminile in San Gerolamo); Sacro cuore (Spes); Leviatano (Pigritia); Mani giunte (nel II° del Decalogo); Codice a barre sormontato da un fuoco (San Rocco); Mani che spezzano la spada (San Giorgio); Mano con l’ala – Serpente di bronzo (Satiricon); Labirinto (Anime salve); Turris eburnea (De Profundis); Cristo con la spada che esce dalla bocca – Svastica – Serpente che si mangia la coda (nel trittico delle Tentazioni).
[27] Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Torino, Einaudi 1971, p. 188.
[28] Ibidem, pg. 235.
[29] Si tratta di un voluto e diretto richiamo alla penombra e al silenzio delle chiese romaniche. Colloquio con Orlando Gasperini (estate 2005).
[30] “E l'angelo gridò con voce potente: ‘E' caduta, è caduta Babilonia la grande! E' diventata ricettacolo di demoni, covo di ogni spirito immondo, rifugio di ogni uccello impuro e abominevole’” (Apocalisse 18, 2). Martin Lutero ed altri predicatori della Riforma pensavano che Babilonia fosse la chiesa Cattolica, e che il Papa fosse la bestia.
[31] Su queste figure si veda l’intervento di Paul Renner in Quo vadis, Rovereto, Nicolodi 2003, pp. 17-18.
[32] Il gatto introduce un aspetto domestico, rimanda alla cerchia degli affetti familiari.
[33] “Nell'adolescenza dell'anno / Venne Cristo la tigre” (T. S. Eliot, “Gerontion”, in Opere: 1904-1939, Milano, Bompiani 2001, p. 499.
[34] Massimo Cacciari, L’angelo necessario, Milano, Adelphi 1986, p. 102
[35] Nel gioco dei riferimenti una fonte che riveste una importanza non sottovalutabile è l’opera di Michelangelo. Soprattutto per ciò che concerne l’aspetto profano dei suoi soggetti religiosi, in particolare nella rappresentazione delle schiere angeliche.
[36] Granfranco Ravasi, “Gli Angeli tra Antico e Nuovo Testamento”, in Marco Bussagli e Mario D’Onofrio (a cura di), Le Ali di Dio. Messaggeri e guerrieri alati tra Oriente e Occidente, Milano, Silvana 2000.
[37] Il Quadrato Magico è il nome con cui è conosciuto questo notissimo palindromo formato da cinque parole di cinque lettere che possono essere lette indifferentemente nelle quattro direzioni dei lati del quadrato stesso.
[38] “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte” (Romani, 5. 12) “Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita” (Romani, 5. 18).
[39] Quo vadis, op. cit., p. 19.
[40] “L’episodio è sottratto al passato storico, a una data precisa, ed è consegnato al presente infinito della coscienza e della fede partecipata con tutti i sensi” (Orlando Gasperini, Estate 2005).
[41] “Il nudo è una forma d’arte scoperta dai Greci del V secolo a.C., esattamente come l’opera in musica è una forma creata nel ‘600 in Italia. Questa definizione è forse inattesa, ma ha il merito di mettere in evidenza il fatto che il nudo non è un oggetto, bensì una forma d’arte” (Kenneth Clark, Il nudo. Uno studio della forma ideale, Vicenza, Neri Pozza 1995, p.12).
[42] “La formazione cattolica ricevuta in ‘buona fede’ ma con estrema rassegnazione, stanchezza e ripetitività, privata in gran parte del messaggio originale d’amore e gioia, è diventata soprattutto nell’infanzia e nella prima adolescenza, presenza ossessiva, quasi un castigo quotidiano con il quale rapportare ed umiliare costantemente la propria umana fisicità. A ciò devo, nella mia pittura, il mio continuo ricorso al corpo quale massima espressione di Dio, corpo tanto grande e tanto bello da desiderarne uno Dio stesso” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, op. cit., p. 38).
[43] Henri de Lubac, Corpus mysticum, Milano, Jaca book 1982.
[44] Vangelo di Tommaso, 27; Mircea Eliade, Mefistofele e l’androgine, Roma, Edizioni Mediterranee 1971.
[45] Moshe Idel, Cabala ed erotismo: metafore e pratiche sessuali nella cabala, Milano, Mimesis 1993, p. 21 e 28.
[46] François Jullien, Il nudo impossibile, Roma, Luca Sassella 2004, p. 20.
[47] Georges Bataille, L’erotismo, Sugar 1967, p. 22.
[48] Ibidem.
[49] Il titolo del quadro è Dal Cantico dei cantici, 8 Ct. 6, 7. I versetti cui si riferisce, pronunciati dalla Sposa, sono i seguenti:
[6]Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
[7]Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio.
50 Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini,op. cit., p. 39.
51 Una eccezione negli acquarelli del ciclo soggetti al corpo.
52 Spesso, quasi come una firma, compare il cordone ombelicale, filo rosso, continuità, lega tra loro gli avvenimenti della vita e questi all’origine.
53 Zeus “tagliò gli esseri umani in due, come quelli che tagliano le sorbe per farle essiccare, o come quelli che tagliano le uova con un crine. E per ciascuno di quelli che tagliava dava ordine ad Apollo di rivoltargli la faccia e la metà del collo verso la parte del taglio, in modo che l'essere umano, vedendo questo suo taglio, diventasse più mansueto. E Apollo rivoltava la faccia, e tirando da ogni parte la pelle su quello che oggi viene chiamato ventre, come si fa con le borse che si contraggono, la legava nel mezzo del ventre, facendo una specie di bocca che ora si chiama ombelico e spianava molte altre pieghe. Ma ne lasciò qualcuna intorno al ventre medesimo e intorno all'ombelico, in modo che restasse il ricordo dell'originario castigo” (Platone, Simposio, 189 D-190 E).
54 Fallo (De Sancti Antonimi Tentationibus; Iustitia; Polittico; Ai confini del corpo)
55Ciò/CHE/RIMANE,/IN/FONDO,/è/LA/SOLA/TRACCIA/E/IL/DESIDERIO/RACCHIUSO/IN/ESSA/DI/RIUSCIRE /A/LENIRE/IL/SENSO/DI/SOLITUDINE/E/IL/DOLORE/CHE/RACCHIUDE/L'UMANA/ESISTENZA (http://gasperini.altervista.org)
9. I cicli
AMORI (1985-1991)
Amori; Caino e Abele; Strega; Penelope; Lei; L’angelo custode; Notturno
CARNE E CIELO (1990-2002)
De Sancti Antonii Tentationibus; Sancti Hieronymi Solitudo; L'Angelo; il Diavolo; la Morte; Anime salve; Fides; Spes; Caritas; Sanctitas; Superbia; Idolatria; Gula; Ira; Fortitudo; Impudicitia; Pigritia; Iustitia; Prudentia; Temperantia; Invidia; Dal Cantico dei Cantici, 8 Ct. 6,7
LA NATURA DELLE COSE (2000)
24 tessere
PICCOLI (S)OGGETTI (2000-2005)
(S)oggetto al corpo – sedia; (S)oggetto al corpo – croce; (S)oggetto al corpo – piatto; (S)oggetto al corpo - tazza e bicchiere; (S)oggetto al corpo – bottiglie; (S)oggetto al corpo – bottiglia; (S)oggetto al corpo - frammenti di bottiglia
MY LIFE (2001)
My Family; Occhi(ali); Mariella; Mattia - Chiara - Gerardo – Mariateresa; Domizio; Drive all Night (Sogno di una notte di mezza estate); Drive all Day (Colazione sull’erba)
QUO VADIS (2003)
Sacro Amore; Padre Nostro; Altari; S. Sebastiano - Fuga in Egitto - S. Rocco; Quo Vadis Domine?; Decalogo I,II,III,IV,V; Decalogo VI,VII,VIII,IX,X; S. Francesco, Deposizione, S. Giorgio; Bestemmie; I Quattro Cavalieri; Cogito Ergo Sum
AMORE IMPERFETTO (2003)
Amore Perfetto; Amore Imperfetto; Amore Imperfetto; Amore Imperfetto; Amore Imperfetto ; Amore Imperfetto; Amore Imperfetto
IMAGO MUNDI (1999-2003: sono raccolti i lavori che hanno in comune un tema sociale)
Salve Regina; Padre Nostro; Cartoline dall'Inferno (Buona Pasqua); Cartoline dall'Inferno (Buon Natale); 11 settembre; Quinto Stato; Bestemmie; Minotauri
SOGGETTI AL CORPO (2004)
L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; Nulla è cambiato
DISTANZE (2004-2005)
10. Bibliografia
Gasperini Orlando / a cura di Carlo Pacher. – Milano, Venezia, Trento : 1982
Parliamo d’arte : mostra collettiva di arstisti del C3 / Comprensorio Bassa Valsugana e Tesino, 1990
Poeti e pittori in Valsugana / a cura di Luciano Coretti...et al. – Borgo Valsugana (TN) Aemme, 1993
Carne e cielo / a cura di Giovanna Nicoletti. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2001
Le vie e le ricerche / a cura di Vittoria Coen e Riccarda Turrina. - Milano : Mazzotta, 1999
Il Melograno Associazione d’Arte / a cura di Mario Cossali. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2000
My life / a cura di Vittoria Coen. – Rovereto (TN) : Nicolodi, 2001
Arte e territorio / a cura di Ierma Sega. – Borgo Valsugana (TN) : Comprensorio Bassa Valsugana e Tesino, 2001
La riscoperta dell’immagine di Vigilio nell’autenticità e nella sensibilità odierna / a cura di Romano Perusini. – Trento : Museo Diocesano Tridentino, 2001
“Strie” metamorfosi dell’immaginario / a cura di Renzo Francescotti. – Trento : Consiglio della provincia Autonoma di Trento, 2001
Artempatica : profili lirici di artisti amici / Renzo Francescotti. – Trento : Temi, 2002
Poesia, musica e pittura : omaggio al Novecento / Istituto d’Istruzione Secondaria “Alcide Degasperi”. – Borgo Valsugana (TN), 2002
Everest : l’orizzonte curvo della fantasia / a cura di Vittoria Coen. – Rovereto (TN) : Nicolodi, 2002. + cd rom
4 da Everest / a cura di Vittoria Coen. – Rovereto (TN) : Nicolodi, 2002
50 artisti con S. Romedio / a cura di Carlo Recla. – Romeno (TN), 2002
Roncegno Plein-air 2003 / Associazione d’Arte Il Melograno. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2003
L’eco della salvezza / a cura di Mario Cossali. –|Nicolodi Editore| , Isera (TN) : 2003
Quo vadis / a cura di Mario Cossali, testo di Paul Renner. – Rovereto (TN) : Nicolodi, 2003
Arte Trentina del ‘900 : 1975-2000 / a cura di Maurizio Scudiero. – Trento : Consiglio della provincia Autonoma di Trento, 2003
Situazioni Trentino Arte 2003 / a cura di Gabriella Belli. – Milano : Skira, 2003
Premio Open Art 2004 / a cura di Giovanni Morabito. – Roma : Multiprint, 2004
Consorzio dei Comuni B.I.M. Brenta / Giancarlo Orsingher, Franco Sandri. – Trento : Temi, 2004
Vietato ai minori : i miei primi diciotto anni / a cura di Mario Cossali. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2004
Passione di mela : percorsi artistici da eva al microchip / a cura di Maddalena Tomasi, Vittoria Coen...et al.- Trento : Cromopress, 2004
Gatti di Orlando & Elisabetta Gasperini. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2004
Distanze / a cura di Maurizio Scudiero. – Rovereto (TN) :Nicolodi Editore, 2005
Disseminar l’arte nel prato / foto di Lucio Linguanotto - Cittadella (PD) : Il Fotogramma, 2006
…E allora vo a disseminar (l’arte) nel prato! / foto di Tiziano Previstali – Azzano S Paolo (BG) : FotoTiziano, 2006
Vi sono due aspetti stilistici della pittura di Orlando Gasperini che colpiscono anche l’osservatore distratto. Il primo è il procedere per cicli pittorici e, a livello di singole opere, per polittici.[3] Nel suo processo creativo nasce prima l’idea del ciclo, dove le singole opere sono subordinate ad una precisa idea compositiva.[4] I cicli di Orlando tuttavia non narrano storie, ma illustrano concetti e situazioni. Questa scelta richiama il mondo medievale e l’attribuzione alle immagini di una funzione conoscitiva.
Il secondo aspetto, strettamente connesso al precedente, è il ricordo di un codice figurativo condiviso, di schemi e tipi iconografici riconoscibili, ma appunto è solo un ricordo, una allusione. Nel Medio Evo l’ammaestramento della Chiesa fu affidato alla parola e alle immagini e affinché queste fossero facilmente riconoscibili prese forma un rigido codice iconico-narrativo che permetteva il riconoscimento delle situazioni, dei personaggi e dei valori simbolici. Oggi questo codice è andato perduto, la tradizione si è esaurita, si è persa, è diventata illeggibile. Ecco allora che i suoi elementi sono sostituiti da altri creati ex novo nel tentativo di recuperare la leggibilità perduta.
Il retroterra di queste figure è tuttavia la successiva vasta letteratura allegorica, iniziata alla fine del Cinquecento con l’Iconologia di Cesare Ripa [5] e sviluppatasi durante il barocco con le diverse raccolte di emblemata e imprese. Le due tradizioni non sono sovrapponibili: se le allegorie di Ripa esprimono qualità, affetti, passioni, vizi e virtù, le imprese e gli emblemi barocchi definiscono concetti.[6] Nella pittura di Gasperini il richiamo al barocco è particolarmente cogente: secentiste sono le atmosfere cupe, tenebrose, che escludono la luce; la sottolineatura della fragilità e caducità dell’uomo; l’aspetto teatrale delle composizioni che richiamano scenografie e fondali. Secentista è anche la sensualità e l’intreccio tra questa e la religione, ma ancor più profondamente secentista è il gusto di legare tra loro immagine e concetto.[7]
Oltre a queste fonti bisogna ricordare le rappresentazioni popolari, l’arte minore, i “santini”, gli ex-voto, i reliquiari. Queste, proprio perché sgorgano da una fede ingenua si esprimono in forme rigidamente codificate, che quando sono decontestualizzate producono un effetto di straniamento, come di fronte a una scrittura indecifrabile: riconosciamo l’esistenza di un codice, ma non siamo in grado di interpretarlo.[8] Si vedano a questo proposito le numerose raffigurazioni del sacro cuore e in particolare Ex voto (distanze). Un’altra fonte sono le immagini pubblicitarie che costituiscono la figura di partenza di molte sue opere: anche la comunicazione pubblicitaria produce immagini fortemente codificate di grande leggibilità.
Si legge dunque nell’opera di Orlando Gasperini la nostalgia di un linguaggio simbolico condiviso e il tentativo di ricrearlo. Si vedano ad esempio il Decalogo o da carne e cielo le tre virtù teologali Fides, Spes, Caritas e il polittico Vizi e virtù.
Le tre virtù teologali sono nell’ordine consueto ma diverse dalla tradizione sono le immagini che le illustrano: Fides è rappresentata dalle gambe di un crocifisso ligneo. Al centro del quadro il chiodo che trafigge i piedi. Spes è resa dal profilo di un angelo: non se ne vede il volto, ma l’attaccatura dell’ala. Sul bicipite è tatuato il Sacro cuore avvolto dalle spine. Caritas: i seni ingrossati e il ventre di una donna incinta con le mani, dalle unghie laccate, giunte sul ventre.
Queste immagini illustrano i concetti correlati in modo indiretto e allusivo. La fede, affidata al sacrificio di Cristo, è richiamata dal particolare di una rappresentazione della crocifissione, in un riferimento del tutto obliquo, fedele alla rappresentazione tradizionale (una croce). La speranza, tradizionalmente illustrata da un’ancora, è qui affidata alla figura dell’angelo, mediatore tra il mondo umano e il mondo divino, mentre la carità assume una dimensione completamente mondana nell’accettazione di una nuova vita. In questo caso la figura si richiama alla raffigurazione del Ripa che illustra la carità con una “donna vestita di rosso, che in cima del capo habbia una fiamma di fuoco ardente, terrà nel braccio destro un fanciullo, al quale dia il latte, & due gli staranno scherzando ai piedi”.[9] Come si vede l’autore crea un proprio codice personale, basato su un sentimento religioso privato e individuale, le cui immagini tuttavia si presentano all’osservatore sotto un aspetto oggettivo, reso attraverso il figurativismo pittorico[10] e le scelte compositive.
Alle virtù teologali seguono le quattro virtù cardinali: Iustitia, Prudentia, Temperantia, Fortitudo. La Sanctitas, che non compare né tra le virtù cardinali né tra quelle teologali, chiude la teoria delle virtù, mentre l’Idolatria, che sostituisce l’avarizia, apre quella dei sette vizi capitali: Superbia; Gula; Ira; Impudicitia; Pigritia; Invidia. Qui prevalgono le figure maschili: a un’icona femminile è affidata la Superbia e, come si è visto, la Caritas. Non vi è nulla, se non la scritta, che permetta di distinguere iconograficamente i vizi dalle virtù ad indicare una radicale omologazione e una totale indifferenza di valori.
L’Idolatria è rappresentata da un nudo maschile, il volto in parte illuminato in parte in ombra. Lo sguardo sicuro, seducente in una posa da modello pubblicitario. Al collo una croce. Le mani coprono i genitali, mentre il ventre e le gambe sfumano nel buio. L’idolatria più che l’avarizia si configura come uno dei peccati capitali del mondo moderno anche per il suo legame con il mondo delle immagini: la pubblicità e il linguaggio televisivo hanno realizzato una profonda desacralizzazione e una concentrazione di significati intorno a valori superficiali ed effimeri immergendo sempre più la creatura in una mondanità senza riscatto (L’uomo felice, 4 cavalieri). Per questo la pubblicità è manifestazione dell’idolatria. Il procedimento di Orlando è dunque fortemente ironico: utilizza la grande capacità comunicativa delle immagini pubblicitarie effettuando al contempo il loro trasferimento da un contesto profano ad uno sacro.
All’idolatria si contrappone direttamente la Sanctitas che è rappresentata da una madonna. La linea delle labbra coincide con il bordo superore del quadro, il corpo è nascosto dal drappeggio dell’abito verde. Le due rappresentazioni si contrappongono l’una all’altra: maschile versus femminile, nudo versus vestita, profano versus sacro, disponibilità versus verginità.
Questo tentativo di costruire un nuovo codice si avvale di uno stile marcatamente figurativo, debitore comunque del realismo onirico e trasfigurato dei surrealisti, soprattutto di Magritte.[11] Il pittore belga è infatti la più immediatamente riconoscibile delle influenze non solo dal punto di vista dello stile, ma anche nell’ambientazione degli oggetti in contesti non usuali, come la giustapposizione di oggetti non correlati fra loro. Si confronti ad esempio la natura delle cose, - ventiquattro olii 16 per 16 che rappresentano una bottiglia di Coca Cola, un cellulare, un mouse, due labbra femminili, il Sacro cuore, un lumino, il triangolo con l’occhio, un fallo, un pube femminile, il serpente, un uovo, un bicchiere d’acqua, il muso di un lupo, un ombelico di donna, una foglia, un iris, un sasso, una calle, un tulipano rosso, una mela, una corteccia, un ciotolo di fiume, una foglia e una conchiglia - con opere quali L’interpretazione dei sogni, che assembla un uovo, una scarpa, un cappello, una candela accesa, un bicchiere e un martello o con L’evidence éternelle. Come in Magritte anche qui lo sguardo fissa e congela: vi troviamo la stessa volontà di teatralizzazione e la disposizione delle immagini è tale che la prospettiva migliore per osservarle è quella frontale.[12]
Questa pittura a tesi ha inoltre delle affinità con l’opera di Renzo Vespignani, di Domenico Gnoli – soprattutto per i dettagli dei pizzi, dei broccati, delle pieghe, per i particolari senza senso – di Riccardo Tommasi Ferroni, che affonda in un comune gusto secentista e di cui richiama la “mitologia in jeans”, di Omar Galliani. Il risultato è, nonostante la chiarezza anche iconografica delle singole immagini, un forte senso di indecifrabilità, un fascino straniato, un’assenza di punti storici e geografici di riferimento.
Se infatti i singoli momenti e le singole figure sono riconoscibili e decifrabili, il contesto in cui si muovono è opaco e di difficile lettura. La sua decodificazione non si può basare solo su elementi interni e richiede la conoscenza dei riferimenti concettuali dell’autore. È fin troppo facile ricordare le letture bibliche, filtrate attraverso la conoscenza degli apocrifi e della letteratura devozionale. Queste letture avvengono avendo sullo sfondo la riflessione sull’esperienza del fenomeno religioso svolta ai margini del surrealismo dai membri del Collegio di sociologia del sacro, come Georges Bataille e Roger Callois, e da Antonin Artaud. Un autore particolarmente presente è Emile Cioran, sia per la sua capacità analitica, la sua vertiginosa lucidità, ma soprattutto per il legame con il vissuto: le sue idee non si sentono figlie di teorie, ma nascono dalla riflessione su se stesso.[13] A epigrafe di Carne e cielo Orlando pone una citazione da Al culmine della disperazione che inizia: “Amo il pensiero che conserva il profumo di sangue e di carne, e a una vuota astrazione preferisco mille volte una riflessione sorta da un’esaltazione dei sensi o da una depressione nervosa”.[14]
2. Il mondo creaturale
La prima impressione che si ha dalla pittura di Orlando Gasperini è dunque quella dell’indecifrabilità e dell’enigma. Tutto ciò che viene raffigurato è singolarmente riconoscibile, ma sfugge il significato delle composizioni e del loro contesto. Questo effetto è prodotto da alcuni elementi ben identificabili:
- l’assenza di localizzazione temporale: le sue figure sono per lo più poste in uno sfondo nero, solo in alcuni casi l’abito o altri accessori sembrano legarle al nostro tempo, ma spesso si tratta di segnali contraddittori che acuiscono l’effetto atemporale, come se quella raffigurata fosse una vicenda continuamente ripetuta; così in quo vadis il polittico San Sebastiano - Fuga in Egitto - San Rocco - Deposizione, in cui compare il riferimento a papa Giovanni Paolo II (con la scritta “Non abbiate paura”), la presenza di un San Giuseppe armato, di un San Sebastiano in jeans e di un costato trapassato da un colpo di fucile non crea un privilegiato riferimento all’attualità, ma piuttosto l’attualità è risucchiata in un temporalità mitica e ciclica sottolineata dai volti ieratici, ma soprattutto dal senso di abbandono che promana dalle figure del papa, della Vergine e del Bambino che volgono le spalle allo spettatore. Discorso analogo si può fare per Salve Regina e Padre Nostro in imago mundi; Decalogo I,II,III,IV,V; Decalogo VI,VII,VIII,IX,X e Vizi e virtù in carne e cielo;
- l’assenza di localizzazione spaziale: nei quadri è in genere assente ogni precisa localizzazione, talvolta la figura copre l’intera tela, altrimenti prevalgono gli sfondi neri, i rari paesaggi naturali (il mare, un picco) sono dei puri luoghi simbolici, le figure si muovono in un non tempo e in un non luogo. Una invarianza dei luoghi, una prevalenza di interni e di sfondi neri sembra voler sottolineare come i corpi appartengano a un mondo chiuso, immanente, senza uscita.
Questi effetti sono accresciuti da tre caratteristiche ulteriori:
- la nudità: se da un lato la rappresentazione del corpo ha il compito di farci intuire la grandezza del creatore,[15] dall’altro questa nudità è un ulteriore elemento di decontestualizzazione. Orlando conosce la complessa tessitura di significati che intreccia la nudità con la condizione umana nel pensiero cristiano,[16] dove la nudità rimanda sia alla condizione naturale dell’uomo, allo stato adamitico (nuditas naturalis), sia alla condizione di innocenza acquisita con la confessione e i sacramenti (nuditas virtualis). Nudo è anche il Cristo come povero lontano dagli orpelli del mondo e nudi sono i suoi seguaci (nuditas temporalis), secondo il precetto di San Gerolamo: nudus nudum Christum sequi.[17]
- la frammentarietà: è questo uno degli elementi decisivi per l’effetto di enigmaticità; le tele quasi mai riproducono figure intere: se viene rappresentato il volto questo è privo di corpo, più spesso è il corpo ad essere privo di volto (Virtù teologali; Decalogo; 4 cavalieri); in modo ancora più frequente i corpi sono ridotti a visioni frammentarie, tronchi, seni, pubi, glutei, parti del volto, arti (soggetti al corpo, soprattutto Nulla è cambiato; la natura delle cose, dove il mondo animato, quello inanimato e quello artificiale sono posti sul medesimo piano); una frammentazione che rimanda allusivamente alla pienezza. Dal punto di vista formale questa visione di frammenti rimanda alle tecniche del montaggio cinematografico e a certe inquadrature del fumetto.
- l’immobilità: le sue figure sono immobili nella tela, non vi è differenza tra allegorie e figure reali, tutto è come congelato, irrigidito, ricordano per questo gli oggetti “fermati in un istante” che compongono le nature morte.[18] La sua pittura è fredda, distaccata, a tratti allucinatoria; la fissità è accentuata dall’atomizzarsi degli oggetti, dall’entomologia del dettaglio. La pelle delle sue figure, una superficie levigata e fredda, rimanda al mondo dell’inorganico, appare pietrificata come la superficie lucida dei gioielli.
Da questa indecifrabilità promana l’incertezza, l’angoscia, la sensazione di vivere sotto un cielo vuoto. Non c’è luce nei quadri di Orlando Gasperini, ma una notte fitta. C’è la nostalgia e la sofferenza, la consapevolezza della necessità del divino,[19] ma ciò che predomina è la sua assenza, il cui primo atto è la cacciata, continuamente ricordata, dall’Eden.[20] L’effetto della fuoriuscita dal giardino è la sofferenza che nel mondo degli uomini prende l’aspetto dell’isolamento e dell’incomunicabilità.
La sofferenza fa parte dell’esperienza vissuta di Orlando Gasperini [21] che in alcune tele del 2004, anche in relazione a precise vicende biografiche, la racconta con una sorta di umorismo nero. La cacciata dall’Eden (distanze) è un quadro estremamente crudele: il corpo è trasparente, come in una radiografia e in ogni quadro del trittico compaiono contro il corpo o al suo interno strumenti medici, una flebo, le stampelle, i chiodi. Per l’uso dei colori che danno un effetto lancinante la stessa crudeltà torna nei I colori della vita e nel Libro estremo. Colori e tratto che dal punto di vista formale richiamano la Pop-art.
La raffigurazione della sofferenza è affidata anche alle immagini del Papa. Orlando ha colto in esse il rimando reciproco tra forza e sofferenza, l’inscrizione nel corpo del dolore che hanno caratterizzato gli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, icona della forza nel ciclo Vizi e virtù (Fortitudo). La sua esibizione di un corpo doloroso contrasta l’idolatria del corpo che pervade la nostra cultura, idolatria che non è da confondere con il rimando alla creazione, compito che è affidato alla raffigurazione del corpo. Anche qui è in gioco quel procedere per contrapposizioni che caratterizza la creazione delle immagini di Gasperini.
Sul piano del rapporto con l’altro, conseguenza del peccato è l’impossibilità di comunicare. Non c’è gioia negli amplessi ampiamente raffigurati, il suo mondo è un mondo di individui incapaci di comunicare tra loro. Questo vale per tutte le raffigurazioni della congiunzione tra uomo e donna: Dal Cantico dei Cantici, 8 Ct. 6,7; L’anima del corpo 6; Altari. Più frequentemente i corpi di uomini e donne sono solo accostati l’uno all’altro tracciando una distanza incolmabile (L’anima del corpo 1) o, come nel ciclo amori imperfetti, raffigurati nella loro solitudine.
Questo vuoto torna magistralmente nei ritratti: essi esprimono distanza e indifferenza. Non vi è pietas o condivisione in quegli sguardi glaciali, ma estraneità, lontananza. Volti con occhi impietosi che frugano, giudicano. Occhi(ali) raffigura una serie di occhi che dalla tela, come un unico essere, scrutano lo spettatore. L’effetto è un’inquietudine di fondo, una impossibilità di sottrarsi in uno spazio proprio. Allo sguardo è spesso associato il giudizio e dunque la colpa che lo attira.
La copertina del catalogo della mostra distanze riporta un particolare dell’olio Il fermaglio, che mostra la nuca di una figura femminile, con i capelli raccolti da un fermaglio d’argento. Il quadro comunica il senso di perdita e di distacco. Il volgere le spalle torna in diverse tele ed è attribuito a figure femminili o religiose. Gli orecchini, la catenina, lo stesso fermaglio rappresentano altrettanti segni di un legame: sono i regali che illudono le persone di legarsi l’un l’altra ma che restano solo segni esteriori, accentuando invece di mitigare la sensazione di lontananza. [22] Del resto, come afferma la scritta che compare in La cacciata dall’Eden (2003): “La sofferenza regala solitudine”.
3. Il mondo dopo la caduta
Il punto iniziale è certamente la caduta, la cacciata dall’Eden. Gli attori di questo originario dramma cosmico sono ampiamente citati: più volte torna il serpente (Genesi; De Sancti Antonii Tentationibus, qui con volto di donna) e Eva; una presenza continua è la mela (Genesi; Rotas; De Sancti Antonii Tentationibus), raramente compare l’angelo che inibisce il ritorno (De profundis). Eva non ha i tratti consegnateci dalla tradizione: afflizione, dolore, vergogna della propria nudità, ma piuttosto quelli dell’orgoglio e della durezza. Talora sembra che la caduta non la riguardi.
In Genesi la mela e un metallico serpente sono al centro di un trittico le cui figure laterali sono a sinistra un Adamo effeminato, ritratto di profilo, spettatore più che attore della vicenda. Si può dire che oggetto del trittico siano gli occhi: un occhio visto di lato di Adamo, mentre l’occhio tondo del serpente sembra essere uno degli occhi di Eva. I tre occhi sono allineati, mentre in primo piano vi è l’incavo del picciolo della mela, che richiama l’ombelico e dunque il ciclo delle nascite e delle morti e la stessa differenziazione sessuale. Nell’Eden non vi è né morte, né nascita, né sesso: dalla trasgressione di Eva discendono la maternità e l’amore terreno.
Nella parte inferiore del trittico De Sancti Antonii Tentationibus, viene raffigurato il peccato originale: le tre tele raffigurano un pube, che intuiamo essere quello di Eva; il serpente il cui volto è un volto muliebre e le cui spire sono rosse, unico colore caldo, acceso, come la mela; e un fallo. La caduta è interpretata secondo la tradizione medievale più come la scoperta della differenza sessuale che come peccato di orgoglio. È sempre la nudità ad essere raffigurata anche se la figura di Eva rimanda all’elemento della sfida e dell’orgoglio.
La mela è uno dei pochi elementi naturali che compaiono nei quadri di Orlando Gasperini. [23] Si tratta di un elemento dal forte valore simbolico: l’associazione tra il frutto dell’albero proibito e la mela avviene in epoca tarda complice il gioco di parole tra il nome dell’albero e gli effetti della colpa. Malum in latino indica infatti sia il frutto dell’albero, che il male. Inoltre la successiva interpretazione a sfondo sessuale della caduta ha finito con l’associare la mela alla sfera sessuale, tanto più che la sua forma tondeggiante richiama i tratti femminili. La mela è legata anche a Maria: nelle sue mani diviene il simbolo del riscatto dal male e dalla morte.
Della creazione precedente la caduta non sappiamo nulla: le citazioni bibliche ci rassicurano sulla sua bontà e sulla bontà del Creatore e l’universo di Orlando Gasperini è attraversato dalla sua nostalgia e dal desiderio del ritorno. La pienezza edenica si intuisce attraverso la soddisfazione della divinità per la sua opera: in Dio vide compare la scritta “E vide che ciò era buono” (Genesi 1. 12; 18; 21; 25; 31) e in L’anima del corpo 1 sono raffigurati due torsi con la scritta “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona” Genesi, 1. 31). Il corpo è forse l’unico aspetto del bene della creazione ad essere sopravvissuto ed è comunque l’unico ad essere rappresentato: se non con rare eccezioni nei quadri di Orlando non compare nessun aspetto della creazione se non frammenti di corpi su sfondo nero. Ma anche il corpo è stato sottoposto alla torsione della perdita, la cacciata ha coinciso con la separazione, la frantumazione: è l’immane potenza del negativo, la cui forza è tenere fermi i particolari.[24]
Possiamo dunque definire la pittura di Orlando Gasperini un’esplorazione del mondo successivo alla caduta, anche se questa locazione spirituale si è fatta via via più ambigua e passibile di altri scenari. Quello descritto potrebbe essere il mondo dopo l’apocalisse o l’oscuro regno di un crudele arconte, una imitazione crudelmente imperfetta della Creazione.
L’esplorazione del mondo creaturale si svolge seguendo la traccia fornita da citazioni bibliche che compaiono come parti integranti dell’opera.[25] Un ulteriore aiuto per la decifrazione è dato dai tatuaggi che compaiono su molte figure: il tatuaggio rimanda al suo aspetto sacrale e alla attuale banalizzazione e perdita di significato cui è stato sottoposto, ma anche ad una scrittura che si incide direttamente e indelebilmente nei corpi.[26] Questa trama di citazioni, insieme ai titoli delle opere e dei cicli, rendE evidente il significato delle singole figure, non è necessario operare attribuendo in modo più o meno gratuito simbologie generiche. Quello che casomai chiede di essere chiarito è l’universo che queste immagini vanno dischiudendo.
Inoltre se inizialmente la pittura di Orlando Gasperini poteva essere divisa tra i soggetti appartenenti alla pittura sacra e le opere che si richiamavano ad altri temi, la prosecuzione di questa esplorazione ha fatto si che essa costituisse un attrattore dell’intera opera pittorica: così anche i ritratti o soggetti profani, come quello di Tutti al mare, messi accanto ai quadri di più evidente soggetto religioso, appaiono brandelli, scorci, aspetti particolari di un unico mondo coerentemente raccontato.
Se una caratteristica di questa pittura appare subito evidente questa è infatti la sua coerenza. Nella varietà dei soggetti e dei temi è un’unica realtà che viene descritta, una realtà che di opera in opera prende contorni sempre più definiti. Il mondo successivo alla caduta è in preda all’angoscia, allo smarrimento, alla perdita di significato. Non è il mondo paolino della creatura che freme in attesa della redenzione, “proteso nell’attesa della rivelazione”, che “geme nelle doglie del parto” (Lettera ai Romani, 8.19-25). È il mondo che è stato privato della redenzione, in cui il ciclo inaugurato dalla cacciata e dal ritorno del dio si è concluso o semplicemente si è estenuato in una ineludibile entropia.
È il mondo della morte di dio, la terra desolata, il mondo da cui gli dei si sono ritirati descritto dai romantici, il mondo del moderno, il regno piovoso di Baudelaire, il mondo frantumato, il mondo di rovine del barocco.
Ed è il barocco ad istituire un rapporto tra il mondo in frantumi e l’allegoria. Molti lavori di Orlando, soprattutto nei cicli carne e cielo e quo vadis, sono il tentativo di rappresentare visivamente concetti. Come scrive Walter Benjamin, il più acuto geografo del paesaggio culturale del barocco, “le allegorie sono, nel regno del pensiero, quello che sono le rovine nel regno delle cose”. Le composizioni barocche accumulano continuamente frammenti “nella persistente aspettazione di un miracolo”.[27] Anche il corpo umano non costituisce “un’eccezione al comandamento che ordina di smembrare l’organico, per poi leggere nei suoi frammenti il significato vero, fissato, come scritto”.[28]
La situazione dell’uomo è quella descritta da Onorio di Autun: “dopo il peccato, l’uomo conosce il male per esperienza, il bene soltanto per scienza”. Non siamo infatti più capaci di percepire in modo immediato la presenza del divino: Dio è lontano per la nostra incapacità di entrare in contatto con Lui. In Decalogo I il primo comandamento, “Io sono il Signore Dio tuo non avrai altro Dio all’infuori di me”, è affidato al volto di una statua. Non solo dunque si tratta di un rapporto indiretto, che passa attraverso l’immagine e non la presenza di Dio, ma richiama anche la discussione sulla liceità della sua rappresentazione.
La lontananza di Dio è spesso mostrata direttamente come in San Sebastiano - Fuga in Egitto - San Rocco – Deposizione dove la Vergine e il Bambino voltano le spalle all’osservatore; in My life Cristo (My God) si trova tra lo sguardo penetrante della madre e quello enigmatico del gatto. Tutte le figure sono ritratte nel volto (di profilo e di fronte), solo Cristo è una figura intera: in primo piano le ginocchia sanguinanti, il resto del corpo coperto da un lenzuolo e il viso barbuto rivolto verso l’alto. Ricorda la rappresentazione del Cristo morto in Salve Regina. Inoltre è l’unica figura di cui gli occhi non sono in primo piano. Altre volte è mostrato attraverso segni come il volto impresso nella sindone o mediante il triangolo con l’occhio.
La possibilità di attingere il divino da cui ci separa una distanza incolmabile è tutta dal lato del Creatore. La creatura può cercarlo in sé, nel proprio raccoglimento interiore, facendo il vuoto, scrutando il buio e gli interni severi delle chiese romaniche rievocati dallo sfondo nero delle sue tele: in quel nero si manifesta il sacro, la tensione verso Dio nell’imperfettibilità dell’uomo.[29] La religiosità di Orlando è un arco teso tra il primo libro della Genesi, la narrazione della Creazione e il compiacimento per essa, cui idealmente è accostabile il Cantico dei cantici, e i vangeli della passione, cui si lega il Qohélet.
Il rapporto con Dio è un’esperienza che appartiene unicamente all’individuo. Non esiste mediazione: la Chiesa e i suoi riti sono completamente mondanizzati. Così nei Sette sacramenti, ognuno di essi è rappresentato come la decorazione di una torta da pasticceria ricca di creme e di glasse colorate, creme in cui i simboli e i richiami religiosi stanno inesorabilmente affondando. In un quadro recente, Le tentazioni (2005), che fa parte di un ciclo che legge i Vangeli della Quaresima, la Chiesa è rappresentata come una prostituta:[30] una giovane donna che indossa un costume da bagno rosso damascato, con raffigurati tralci e grappoli, cinta da una stola verde, colore della liturgia del tempo ordinario, che raffigura due arcangeli e Cristo e un demone uno di fronte all’altro.
La desolazione del mondo è narrata soprattutto nei cicli imago mundi e quo vadis, ma anche le grandi tele di Tutti al mare ci consegnano non il mondo gioioso, ma incomunicabilità, estraneità e solitudine. A tratti sembra essere l’inferno: un mondo dove i demoni camminano accanto agli uomini, come in Drive all night e Drive all day. e dove i cavalieri dell’apocalisse sono già fra noi, sotto apparenze normali (4 cavalieri). Un demone dalle grandi ali nere su uno sfondo rosso, in posizione accovacciata, senza volto è al centro del trittico Anime salve. Nelle due tele laterali quattro figure di uomini in pose innaturali e contorte. I quattro cavalieri dell’apocalisse sono rappresentati come uomini elegantemente vestiti, i loro volti fuoriescono dalla tela. Sul lato destro di ogni quadro i versetti corrispondenti dell’Apocalisse di Giovanni a suggello dei quali compare una carta Visa.[31] Forse la fine del mondo c’è già stata, non ce ne siamo accorti e se la redenzione è avvenuta non lo sappiamo, comunque non ci ha riguardato, forse l’inferno si sconta vivendo.
Oltre ai demoni, accanto agli uomini, sono presenti angeli e santi. Tranne rare eccezioni il resto della natura è scomparso: unica figura viva e non caricata dell’allegoresi come la rosa o il serpente o la tigre è il gatto.[32] La tigre, che si vede in Orfeo e Sancti Hieronimi solitudo; rappresenta Cristo è una citazione, proveniente dai bestiari medievali riveduti da John Donne, che ritorna in Gerontion di Thomas Stern Eliot;[33] mentre il ghepardo di De sancti Antonii tentationibus figurativamente richiama l’Orfeo di Luigi Bonazza.
Agli angeli e ai santi sono affidate le schegge del divino. Più ai santi, cui è attribuita la funzione di esemplarità, che agli angeli i quali sono in qualche modo accomunati all’uomo nella caduta: “il peccato dell’Angelo inaugura quello dell’uomo nella sua essenza più propria”.[34]
Gli angeli, spesso solo richiamati (L’angelo custode, in amori; Spes), sono presenti soprattutto nelle tele Drive all night, Drive all day e in De profundis. Nella prima è leggibile il richiamo all’episodio biblico dell’unione tra angeli e uomini che precede il diluvio: “Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero” (Genesi, 11, 1-2).
Ma anche gli angeli assomigliano più alle figure intermedie descritte da Kafka o agli angeli di Wim Wenders ne Il cielo sopra Berlino. Qui gli angeli non sono né belli né eterei o maestosi. Sono comuni, dubbiosi, lontani da Dio e vicini agli uomini. Camminano al nostro fianco invidiando quasi la nostra umanità.[35]
In De profundis sono rappresentate due figure viste di fronte su uno sfondo nero. Si vedono solo i tronchi, al centro una scritta: de profundis. La figura di destra è femminile ed armata di spada, la figura di sinistra è maschile, presenta un taglio sul costato da cui cola una goccia di sangue. In mano una rosa rossa. Di primo acchito sembrano due angeli, la spada ricorda l’angelo messo a guardia dell’Eden, poi, a ben guardare solo la figura maschile possiede le ali.
Si tratta di un angelo dimesso, lontano dallo splendore del divino, un pellegrino, un viandante che attraversa le vie del mondo. Nonostante la nera distanza incolmabile qualcosa lo lega alla figura femminile da cui la spada sembra averlo rescisso e separato. Se compito dell’angelo è raccordare “cielo e terra, infinito e finito, eternità e storia, Dio e uomo”,[36] qui tale raccordo fallisce in una disperante immanenza.
I Santi sono tra i pochi personaggi a mostrare il loro volto. Riconosciamo San Rocco, San Giuseppe, San Sebastiano (San Rocco, Fuga in Egitto, San Sebastiano), San Gerolamo (Sancti Hieronymi Solitudo), Sant’Antonio (De Sancti Antonii Tentationibus), San Francesco. I santi sono riconoscibili dagli attributi della tradizione iconografica: il pane, la piaga, il cane per San Rocco; le frecce e l’aspetto efebico per San Sebastiano.
Il trittico San Francesco, San Giorgio Deposizione, rappresenta a sinistra un san Francesco nudo di spalle, appoggiato sulle caviglie, le mani con le stimmate si protendono verso una croce dorata, di cui vediamo solo l’asta verticale. A terra i jeans, un telefonino, un orologio, le sigarette. Al centro la deposizione: una figura distesa su un letto coperto da un copriletto che potrebbe essere anche una tovaglia, con riferimento all’ultima cena. Nei quadri della tovaglia è inserito il quadrato magico: tenet opera sator,[37] qui citato nella sua interpretazione di cruces dissimulatae. La figura presenta una sottile ferita al costato. Una mano copre il pube, mentre l’altra è abbandonata a toccare terra dove si trova una mela. Evidente raffigurazione del contrasto tra Adamo e il Cristo.[38] Il terzo elemento del trittico raffigura San Giorgio. Il santo è riconoscibile per la postura nell’atto di trafiggere il dragone, solo che qui il drago è una figura maschile sdraiata nella quale si conficca all’altezza del ventre la lancia del santo. La lettura di questa figura è complessa: non appare una personificazione del male, se non per una canna di fucile che stringe tra il braccio e il corpo, un richiamo alla guerra, ma appare ambiguamente una vittima, il cui volto rivela le fattezze dell’autore. Come ha osservato Paul Renner qui San Giorgio “insegna a combattere non i nemici che la nostra mente crea, ma il nemico che si annida nel nostro intimo”.[39]
A riprova del ruolo dei santi nel nostro mondo Orlando Gasperini ha aggiunto alle sette virtù la Sanctitas (raffigurata però da una Madonna). Si tratta per lo più di eremiti, come sant Antonio, San Girolamo o San Rocco, o portatori di un’intensa esperienza di ricerca di Dio come San Francesco. Eremiti, staccati dal mondo, che attraverso la sofferenza carpiscono il mistero del divino, che si rivela solo lontano dal chiasso, nel raccoglimento, nel vuoto interiore, nel buio e nel silenzio.
Questo complesso rapporto è reso nell’Annunciazione che mostra una mano poggiata su una patta di una Madonna in jeans. La seconda tela del dittico mostra la rotondità di un gluteo nudo, il corpo nudo dell’angelo. La composizione accentua il lato ambiguo: la donna è riconoscibile per un leggero pizzo e per le unghie laccate su delle mani forti da lavoratrice. Tutto il peso del riconoscimento della scena è affidato alle parole del Magnificat e al tenue riflesso sull’anello dove compare la parola Ave leggibile anche come Eva. Il quadro si sottrae a una lettura blasfema nel suggerire come il sacro possa sfiorarci in ogni momento camminandoci accanto.[40]
4. Il tema del corpo
Le accademie hanno ordinato in senso gerarchico i generi: pittura di argomento storico, pittura religiosa, paesaggio, nudo, natura morta e ritratto. Orlando lavora prevalentemente su tre: la pittura religiosa, il nudo, e il ritratto, ma ne modifica le convenzioni che li definiscono. La pittura di Orlando più che di pittura di nudi è pittura di corpi. Del resto non basta la presenza del nudo per classificare un quadro come “pittura di nudo”. Come ha osservato Kenneth Clark, il nudo è una forma d’arte particolare, con regole proprie,[41] e se intendiamo il nudo come genere, certamente questa pittura non ne segue le regole e le convenzioni.
Il corpo riveste un’importanza fondamentale nella pittura di Orlando Gasperini.[42] Sul corpo sembra ricadere l’intero peso del creato. In un mondo privo di paesaggi, di animali, di piante, perfino di minerali l’unica testimonianza del creato è il corpo. Inoltre Orlando intreccia strettamente il tema del corpo a quello del sacro. Del resto nel pensiero cristiano il corpo riveste un posto centrale: l’uomo è creato a “immagine e somiglianza” (Genesi, 1. 26) di Dio; l’umanità è salvata attraverso l’incarnazione, il farsi carne del Verbo è l’evento centrale del cosmo ripetuto continuamente nel rito della Messa; il sacrificio del figlio dell’uomo consiste nella distruzione del suo corpo (carnalità delle rappresentazioni sacre); le metafore del corpo permeano il lessico della Chiesa.[43] Il mistero e lo scandalo del Cristianesimo è la resurrezione dei corpi, la sconfitta della morte anche dei corpi, della materia.
Non deve stupire l’accostamento corpo/simboli religiosi soprattutto corpo/altare in quo vadis Altari. I molti altari costruiti dall'uomo conducono ad un altare vivente: il corpo sacrificato del Cristo sulla croce. Altare nuovo e definitivo in cui Dio incontra l'uomo: l’altare di pietra rimanda all'altare vivo da cui viene ogni benedizione e grazia. Ma come il corpo del Cristo rappresenta l’altare vivente, questo può essere anche il corpo degli uomini. Scrive San Paolo: “Non sapete voi che siete tempio di Dio e che lo spirito di Dio abita in voi? Or, se uno distrugge il tempio di Dio, distruggerà se stesso, perchè il tempio di Dio quali siete voi è santo” (1 Corinti, 3.16-17). E più oltre: “Non sapete voi che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che abita in voi, Spirito che avete da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi?” (1 Corinti, 6.19).
Il corpo ci è dato per esprimere all’esterno la nostra appartenenza al Signore e la glorificazione del suo nome. La relazione sessuale è una modalità di questa manifestazione, che per volere di Dio acquista anche forza sacramentale, ossia esprime il legame di Cristo con la sua Chiesa e ne diffonde efficacemente la grazia santificante su tutto il Corpo mistico del Signore. Il brano di San Paolo si chiude con l’esortazione: “Glorificate dunque Dio con il vostro corpo” (1 Corinti, 6,20).
Il secondo comandamento, “Non nominare il nome di Dio invano”, è inscritto direttamente su un corpo maschile: due mani giunte tatuate sul collo.
Il corpo è un luogo cardine di tutte le religioni in quanto è punto di contatto tra mondo materiale e spirituale. Per questo è al centro di una molteplicità di pratiche, di procedure di disciplinamento che variano a seconda che il corpo sia inteso come “carcere” dell’anima o come suo specchio. Nella cultura occidentale questa centralità ha costruito una rete di saperi e di pratiche in cui il corpo è stato avvolto. I rapporti di potere che passano attraverso lo spessore dei corpi sono stati descritti da Michael Foucault attraverso un’analisi di come il potere agisca sui corpi attraverso il sesso, la malattia, il dolore, le nevrosi, le costrizioni. Questo potere dà luogo a una serie di pratiche supplizi, costrizioni, discipline, cure, diete, regole, divieti che hanno origine da una molteplicità di saperi e dalla trasformazione del corpo in quello che lo stesso Foucault definisce il carnaio dei segni.
Ma il corpo è anche l’apertura mistica sull’assoluto. Se a partire dal Simposio di Platone in una parte del pensiero greco e medioevale la separazione in maschio e femmina è vista come una punizione, tanto che molti circoli cristiani e gnostici hanno mostrato delle tendenze androginiche, vedendo nell’ermafrodita un simbolo della perfezione umana,[44] il pensiero ebraico ne ha una visione positiva. Da questa traduzione nasce la lettura letterale e sessuale del Cantico di contro alla lettura prettamente metaforica del cristianesimo. Moshe Idel osserva come in questa tradizione “la pura unione del maschio e della femmina costituisca un atto di restaurazione”; “l’atto sessuale è concepito come dotato di poteri teurgici […] matrimonio ed unione sessuale hanno un enorme impatto sui mondi superiori”.[45]
Altra questione è il tema della nudità. Innanzitutto, come ha acutamente osservato François Jullien, “il Nudo innalza l’uomo in disparte dal mondo, e lo isola”, il “suo effetto è generico”. Ed è proprio questo effetto che fa sì che il nudo funga “da concetto dell’uomo”, lo identifichi “con la sua coscienza”,[46] lo separi dalla natura facendone un essere del tutto particolare, lo isoli dal contesto, dalla sua stessa epoca, aspetti che Gasperini riproduce nelle sue tele. È la terribile solitudine dell’uomo in seno alla creazione che ci è trasmessa da questi nudi.
Inoltre la nudità è una situazione che è stata strettamente legata alla sacralità. Un ovvio riferimento è rappresentato dall’opera di Georges Bataille, che costruisce una vera e propria ontologia della nudità e attraverso la vertigine collega nudità e sacralità. L’erotismo scrive, “ha come principio la distruzione della struttura dell’essere conchiuso” e “l’azione decisiva ha nome denudamento. La nudità è la negazione della condizione dell’essere chiuso in sé, la nudità è uno stato di comunicazione, che rivela una possibile totalità dell’essere, al di là del ripiegamento su se stesso. I corpi si spalancano alla fusione grazie a quegli organi nascosti, che ci impartiscono il senso dell’osceno”.[47]
Ma Orlando Gasperini non rappresenta mai la vertigine che nasce dalla nudità, sembra che egli sappia con Bataille che l’atto sessuale “dissolve gli individui che ne prendono parte, ne rivela la possibilità di fusione, rammenta lo sprofondare in acque tumultuose”,[48] ma al tempo stesso che questa via di ritorno all’unità è preclusa. Nei suoi quadri il corpo è si la porta sull’altrove, ma ora è una porta chiusa, un vicolo cieco: la pesantezza del mondo ci tiene incatenati al mondo sublunare.
Del resto possiamo dire belli questi corpi? Rappresentano la bellezza della verità? Non sono piuttosto di una bellezza sterile? fredda, algida, lontana, stellare, distante – che non lenisce carnalmente la nostra disperazione, ma ci lascia ancor più spossati e prostrati?
Guardiamo la raffigurazione degli amplessi: Cantico dei cantici;[49] Altari. In entrambi i casi sono rappresentate due solitudini, i due non sono uno, non prefigurano la pienezza perduta, il ritorno al mondo edenico, ma il fallimento del rito. Lo stesso colore dei corpi è quello della morte non della vita: è un colore grigiastro che ricorda quello dei corpi del ciclo Morgue di Andrei Serrano, che rimanda non a qualcosa di vivo, ma di irrigidito, pietrificato.
Quello di Orlando Gasperini non è il corpo del desiderio, né dell’apertura all’altrove. Rappresenta la carnalità dei concetti, vorrebbe rimandare concretamente ad un altrove, ma il rimando fallisce. Corpi malinconici, tristezza per una mancata promessa di felicità. È comunque l’unica sorgente di speranza, l’unico luogo dove si è preservata, sia pure depotenziata, la potenza della creazione. Se c’è speranza, e non è detto che vi sia, essa va cercata nell’unione dei corpi, nella sperimentazione dei loro confini, nella ricerca di un apertura, non ancora trovata, verso l’altrove.
5. Maschile e femminile
L’incontro tra i corpi è l’incontro tra maschile e femminile. Incontro che nelle tele di Orlando prende spesso l’aspetto della contrapposizione dei sessi successiva alla caduta. Contrapposizione che si manifesta sul piano psicologico come incomprensione e distanza e su quello ontologico come ricerca e desiderio di una complementarietà capace di modificare la condizione umana.
In un dialogo con Luca Coser, Orlando aveva affermato che ciò che lo spinge a creare è il “tentare una traccia che possa in qualche modo interagire con la realtà in modo magico, alchemico, rituale”.[50] Da sempre rito, alchimia e magia si sono mossi utilizzando la polarità maschile/femminile come campo di forze. Che poi per queste sue rappresentazioni si possa parlare di maschile e femminile come polarità è del tutto giustificato dalle sue figure acefale, che non sono riconoscibili se non dagli elementi anatomici che permettono una semplice identificazione per genere.
L’elemento femminile è connotato dalla autosufficienza, dalla durezza, un lato stellare, freddo, crudele. Uno degli archetipi del lato distruttivo della femminilità è tradizionalmente rappresentato dalla strega, figura che torna anche nella pittura di Orlando: Strega – amori; My life 9. La figura femminile di De profundis sul seno ha il tatuaggio di una Torre e la scritta Turris Eburnea. L’espressione, tradizionalmente associata a Maria, proviene dal Cantico dei Cantici, ed è una lode della bellezza del collo dell’amata, candido e adorno: collum tuum sicut turris eburnea (7,4). L’immagine della torre suggerisce quella della inaccessibilità: inaccessibilità al male (Maria è santa) e alla concupiscenza (Maria è vergine).
Vi è nelle sue figure femminili una insensibilità e un egoismo sottile (Amore imperfetto 1; Lei), quasi una illustrazione della massima di Cioran secondo cui tra uomini e donne ci sono solo due modi di relazionarsi: la crudeltà o l’indifferenza.
Nella nudità dei corpi femminili vi è qualcosa che sembra porre questo denudarsi oltre lo spogliarsi di una singola persona per richiamare una fascinazione che ha che fare con qualcosa di segreto e di pericoloso. La percezione di un fondo vertiginoso e inviolabile: si veda ad esempio Il lupo (distanze) dove la nudità è collegata a qualcosa di elementare, di una sostanza prima della creazione, di abissale che precede ogni individuazione. Un effetto analogo è dato in natura delle cose dall’accostamento tra il muso di un lupo e un ombelico al centro di un ventre rotondo.
Un terzo elemento che caratterizza le rappresentazioni femminili è l’alternarsi dell’aspetto stellare e vertiginoso alla disposizione materna (Caritas; Quo vadis 5), che però non è mai condivisa, ma appartiene in toto alla donna.
Di fronte a questa complessità l’uomo appare come un elemento passivo connotato da fragilità e incertezza. Inoltre se alcune raffigurazioni della donna rimandano a questo fascino primordiale, al suo attrarre magneticamente l’uomo, questo è rappresentato spesso nella (sia pure stravolta) dimensione del fare e del produrre in un rapporto con il mondo quotidiano (4 cavalieri; amori; Decalogo VIII).
Uomini e donne sono spesso rappresentati vicini ma a una distanza incolmabile (Amore imperfetto 1; L’angelo custode; My life 12; Vietato ai minori 6). Una serie di oggetti legano i corpi, si tratta di anelli, braccialetti, catenine con crocifissi o fedi, anelli, li legano senza tuttavia unirli, simbolo di un rapporto solo esterno.
Anche nella rappresentazione dei corpi i particolari anatomici delle figure femminili sottolineano questa distanza e distacco. Vi è infatti una asimmetria nella rappresentazione dei nudi: tanto dettagliata è la rappresentazione del nudo maschile (non solo il fallo, ma anche la muscolatura) allo stesso modo è evasiva quello del nudo femminile. Si limita al pelo pubico, non è mai rappresentata la vagina. Il corpo femminile è un corpo liscio, senza presa, senza “ingresso”, non mostra alcuna fenditura,[51] è un corpo cercato, ma inaccessibile.
I particolari anatomici si ritrovano anche nella serie la natura delle cose, che rappresenta una sorta di “alfabeto delle cose”. È infatti costituita da una serie di elementi base, unità di significato minime, che possono essere combinati in un unità di significato più vaste. La mostra relativa a questo ciclo (Telve 2000) prevedeva la disposizione delle tessere (si tratta di olii di 15 per 15) sul pavimento e la libertà per il visitatore di comporle a suo piacere.
Nella disposizione dell’autore, che riproduce solo 24 delle 37 tessere, queste sono ordinate in quattro gruppi di sei elementi il primo ordina una bottiglia di coca cola e un cellulare, un mouse e due labbra femminili, il Sacro cuore e un lumino; il secondo: il triangolo con l’occhio e un fallo, un pube femminile e il serpente, un uovo e un bicchiere d’acqua; il terzo il muso di un lupo e un ombelico di donna, una foglia e un iris, un sasso e una calle; infine un tulipano rosso e una mela, una corteccia e un ciotolo di fiume, una foglia e una conchiglia.
Sono visibilissimi gli elementi che rimandano alla polarità maschile e femminile nel loro intrecciarsi tra il piano del sacro e del profano.
Gli elementi artificiali, la bottiglia, il mouse, il cellulare danno le coordinate del mondo vuoto, della distrazione e della mondanità. Gli elementi naturali rimandano ad un codice nascosto nella natura e a simboli religiosi: l’iris simboleggia la Trinità; la calle la verginità; l’edera sempreverde è simbolo di vita eterna.
Uno dei particolari anatomici che ricorre più frequentemente è l’ombelico: la sola traccia del cordone che ci univa al corpo materno fino alla nascita,[52] un segno che rimanda non solo alla nostra nascita, ma anche alla nostra natura di mortali. L’ombelico infatti rinvia al ciclo di nascita e morte istauratosi dopo la caduta: solo chi nasce da donna possiede un ombelico, per questo una lunga tradizione vuole Adamo ed Eva senza ombelico, proprio come gli esseri androgini di Platone, per i quali l’ombelico rappresenta il ricordo della punizione inflitta da Zeus.[53]
Quello che qui interessa è il gioco tra la raffigurazione di Dio come triangolo con l’occhio e il triangolo rovesciato di un pube muliebre; tra un fallo e il serpente, mentre la terza coppia uovo/acqua rimanda ai simboli di rinascita. Il primo, l’uovo, è un simbolo universale sacro in tutte le civiltà arcaiche che richiama l’uovo cosmico. Nell'iconografia cristiana, l'uovo è il simbolo della Resurrezione: il suo guscio rappresenta la tomba dalla quale esce un essere vivente e nell'uscita del pulcino dall'uovo i primi cristiani raffiguravano un'espressiva simbologia della resurrezione di Cristo. L’acqua è invece legata al rito del battesimo e ad una seconda nascita.
Nonostante nella raffigurazione dei corpi prevalgano i seni e i falli,[54] si può parlare di una desessualizzazione. I genitali sono privi di erotismo, i corpi mostrano la stanchezza, l’apatia, la tristezza, lo smarrimento. Spesso viene semplicemente raffigurato il pelo pubico, lasciando una voluta ambiguità, una indeterminatezza di genere, tanto che dobbiamo sollevare lo sguardo per risolvere l’ambiguità.
In Dio vide i corpi sembrano una semplice variazione di un’unica immagine originaria. La donna non è la parte mancante dell’uomo, l’elemento umbratile e liquido, ma ne viene sottolineato il lato distruttivo. Si veda in Genesi la sovrapposizione di Eva con il serpente, quasi a formare un'unica figura.
Tutto ci rimanda al mondo della caduta e ai nostri tentativi di risalire al di là di esso. La via che ci additano i santi è quella della solitudine e della lotta con sé stessi. L’altra, quella della coniuctio, dell’alchimia, del superamento della polarità di maschile e femminile, ci è preclusa ed è solo un riverbero della nostalgia dell’assoluto.
La pittura di Orlando Gasperini ci obbliga a riesaminare alcune nostre convenzioni e abitudini, ci offre uno sguardo diverso sul mondo che non ci consola, ma piuttosto svela l’angoscia e l’inquietudine che stanno al di là della sottile crosta rassicurante del quotidiano.[55] È una visione che non porta sollievo, ma inquietudine, ci obbliga a collegamenti non abituali, ci esilia dal mondo conosciuto.
7. Note
[1] Questo articolo è stato discusso con Alessandro Fontanari e Vittorio Fabris che ringrazio per le pertinenti osservazioni.
[2] Nei diversi cataloghi le opere si presentano con titoli diversi e talvolta i polittici hanno parti diverse. Per ovviare a questa incertezza i titoli delle singole opere e dei cicli sono presi dal sito web (http://gasperini.altervista.org). In seguito i singoli quadri saranno indicati in corsivo, i cicli in maiuscoletto.
[3] Dei cicli è riportato l’elenco in appendice. Tra i polittici per la sua struttura particolare è da ricordare il Salve Regina, paragonabile a una “sequenza filmica”, che assembla sei pezzi di dimensioni diverse alla cui base giace un inquietante Cristo morto (Giovanna Nicoletti (a cura di), Carne e cielo, Scurelle, Litodelta 1999).
[4] A questo proposito nel corso di uno dei colloqui con Orlando Gasperini che hanno accompagnato nell’estate 2005 la stesura di questo testo ha affermato esplicitamente: “Più importante è cosa dipingo, non come dipingo”.
[5] Mario Praz, “La tradizione iconologia”, prefazione a Cesare Ripa, Iconologia, Vicenza, Neri Pozza 2000.
[6] Emblema dal latino “emblema”, letterariamente “cosa inserita” significa figura simbolica; impresa, dal latino “impresum”, “preso sopra di sé”, ha il significato di immagine simbolica di una caratteristica morale, di un precetto o norma. L’Emblematum liber (in prima edizione nel 1531) di Andrea Alciato, raccoglie una notevole serie di immagini allegoriche , accompagnate da un motto o sentenza, e da una dichiarazione in versi o un commento in prosa. Ma il riferimento più diretto per le tele di Gasperini è l’Iconologia di Cesare Ripa.
[7] “Bisognoso com’era di certezze sensuali, il secentista non si fermò all’idoleggiamento puramente fantastico dell’immagine: volle estrinsecarla, proiettarla in un geroglifico, un’emblema, si compiacque di rincalzare la parola con una rappresentazione plastica aggiunta” (Mario Praz, Studi sul concettismo, Firenze, Sansoni 1947, pg. 7).
[8] “I segni che utilizzo (iconografia classica e popolare della religione cattolica) diventano così allegorie del vuoto e del nulla, simboli privati della loro ritualità che sfiorano solamente una pallida parvenza di verità” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, Rovereto, Nicolodi 2000, p. 38).
[9] Cesare Ripa, Iconologia, op. cit., pp. 48-49. Il riferimento al Ripa, più che in una puntuale ispirazione, è nel suo aspetto di catasto di immagini, allegorie, simboli, metafore senza distinzione tra cultura dotta e popolare e senza alcuna preoccupazione storica o critica.
[10] Si veda l’intervento di Maurizio Scudiero in Maurizio Scudiero (a cura di), Distanze, Rovereto, Nicolodi 2005.
[11] Da Manritte sono ispirati i primi lavori (di cui non c’è traccia nel sito), ma si veda ad esempio il ciclo Piccoli (S)Oggetti oCome i cavoli a merenda e le opere dal titolo Femme-bouteille (1940-1948). David Sylvester (a cura di), René Magritte. Catalogue raisonné, vol. II: Oil, paintings and obiects 1931-1948, Milano, Electa 1993.
[12] Siegfried Gohr, Manritte, San Francisco, Museum of Modern Art 2000.
[13] “Tutti parlano di teorie, di dottrine, di religioni; insomma di astrazioni; nessuno di qualcosa di vivo, di vissuto di diretto. La filosofia e il resto sono attività derivate, astratte nel peggior senso della parola. Qui tutto è esangue. Il tempo si converte in temporalità, ecc. Un ammasso di sottoprodotti. D’altro canto gli uomini non cercano più il senso della vita partendo dalle loro esperienze, ma muovendo dai dati della storia o di qualche religione. Se in me non c’è niente che mi spinga a parlare del dolore o del nulla, perché perdere tempo a studiare il buddhismo? bisogna cercare tutto in se stessi, e se non si trova ciò che si cerca, ebbene, si deve lasciar perdere. Quello che mi interessa è la mia vita. Per quanti libri sfogli, non trovo niente di diretto, di assoluto, di insostituibile. Dappertutto è il solito vaniloquio filosofico” (E M Cioran, Quaderni, op. cit., pp. 148-149).
[14] Giovanna Nicoletti (a cura di), Carne e cielo, op. cit.
[15] La nudità che rappresenta “la bellezza dell’uomo è frutto della grandezza di Dio e mostrarla è un glorificare Dio” (Orlando Gasperini, estate 2005).
[16] “La nudità è assunta come elemento primordiale che richiama ad una purezza e sacralità perdute e rimanda costantemente alla condizione umana fragile e caduca” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, Rovereto, Nicolodi 2000, p. 38).
[17] Erwin Panofsky, Studi di iconologia, Torino, Einaudi 1975, pp. 205-221; I. Steinberg, La sensualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’epoca moderna, Milano, Il Saggiatore 1980.
[18] Su questo Giovanna Nicoletti, “Carne e cielo si incontrano altrove”, in Giovanna Nicoletti (a cura di), Carne e cielo, op. cit.
[19] Ciò che mi spinge a creare è il “tentare una traccia che possa in qualche modo interagire con la realtà in modo magico, alchemico, rituale […]. Ciò che rimane, in fondo, è la sola traccia e il desiderio racchiuso in essa di riuscire a lenire il senso di solitudine e il dolore che racchiude l’umana esistenza” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, op. cit., p. 39).
[20] “Il sacro rimane quale coscienza di una redenzione possibile, ma solo grazie all’aiuto del Creatore, coscienza riposta nel profondo senso della vita, svilita, violentata e tradita quotidianamente dai limiti dell’essere umano. La salvezza è possibile, ma non in questa vita, di qui la profonda nostalgia dell’Eden” (Orlando Gasperini, estate 2005).
[21] “Pongo lo sguardo su questo paesaggio frammentario e immobile e, attraverso la lente del dolore, lo fisso nel tentativo di esorcizzarne almeno la parte più disperante” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, op. cit., p. 38).
[22] “Ecco che la famiglia e gli amici diventano […] il solo ambito possibile dove concretizzare questa esperienza di assoluto nella vita terrena” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, op. cit., p. 38). Alla luce delle ultime opere questa affermazione non sembra più sottoscrivibile. I ritratti, anche di amici e familiari in distanze presentano la stessa fredda lontananza, la stessa vacuità che caratterizza tutto il mondo creaturale.
[23] Troviamo i fiori (giglio, calle, e più spesso la rosa) e tra gli animali, oltre al serpente, il gatto, la tigre, il lupo e il cane.
[24] “Ma che l’accidentale ut sic, separato dal proprio ambito, che ciò che è legato nonché reale solo nella sua connessione con altro, guadagni una propria esistenza determinata e una sua distinta libertà tutto ciò è l’immane potenza del negativo” (Georg F. W. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Firenze, Nuova Italia 1972, p:??). Considerazioni analoghe sono svolte da Freud in Inibizione, sintomo, angoscia (1925). Il diavolo è il beffardo, l’ironico, colui che si fissa e si annida nel dettaglio, nel particolare.
[25] In Carne e Cielo: La preghiera del Salve Regina, I vizi e Virtù; De Sancti Antonii Tentationibus, nel Sancti Hieronymi Solitudo il tatuaggio Rosa mistica. In My life: nel De profundis il tatuaggio della Torre con Turris eburnea; My family (is a work of art!)¸ Nella serie dei pastelli - l’ ultima strofa della poesia “Torture” di Wisława Szymborska: “Nulla è cambiato,/ tranne il corso dei fiumi,/ la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai/ Tra questi paesaggi l’animula vaga,/ sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,/ a se stessa estranea, inafferrabile,/ ora certa, ora incerta della propria esistenza,/ mentre il corpo c’è, e c’è, e c’è/ e non trova riparo” (Vista con granello di sabbia : poesie 1957-1993 Milano Adelphi 1998, p 165). In Quo vadis: La preghiera del Padre Nostro che si rincorre e si sovrappone, nel tondo con lo stesso titolo; “Non abbiate paura” nel polittico della fuga in Egitto
In Bestemmie da Matteo, Giobbe e Isaia: “Elì, Elì, lemà sabactani? Padre mio se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”; “Non piangi? E tu Betlemme, terra di Giuda non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda, da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele”; “Agnus Dei. La mia forza è forza di macigni? La mia carne è forse di bronzo? Non v’è proprio aiuto per me? Ogni soccorso mi è precluso?”
Imago Mundi: “Questo mio popolo mi onora con le labbra ma il so cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini”
Il Rotas Opera Tenet Arepo Sator nel trittico della deposizione. I Versetti dell’Apocalisse nei Quattro Cavalieri.
In Distanze: La vita… : La vita lieve – Oh mi accadesse quanto invoco; La vita breve – Spermasangueamoreodiomorte; La vita inquieta – Un grosso sasso ogni hor tormenta; La vita eterna – Essa è vicina e si può trovare…; I colori della vita: Io sont la morte che porto corona… (è il testo che corre sotto la danza macabra di Pinzolo); Il Libro estremo: Ha tutto sotto il cielo una stagione…(Qohélet 3, 1-8); La cacciata dall’Eden: La sofferenza regala solitudine; in Ex voto: (S)propositi del cuore…con i vari passi delle promesse matrimoniali; Nei due grandi nudi: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”; Nel trittico piccolo: “Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male”.
In Genesi: “Non morirete affatto ! Anzi…”; in Annunciazione il Magnificat
Nei piatti del Pane quotidiano le tre preghiere del Pater Ave e Gloria con la scritta che li rincorre “pregare per o pregare con”.
[26] I tatuaggi Rosa mistica (sul seno del nudo femminile in San Gerolamo); Sacro cuore (Spes); Leviatano (Pigritia); Mani giunte (nel II° del Decalogo); Codice a barre sormontato da un fuoco (San Rocco); Mani che spezzano la spada (San Giorgio); Mano con l’ala – Serpente di bronzo (Satiricon); Labirinto (Anime salve); Turris eburnea (De Profundis); Cristo con la spada che esce dalla bocca – Svastica – Serpente che si mangia la coda (nel trittico delle Tentazioni).
[27] Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Torino, Einaudi 1971, p. 188.
[28] Ibidem, pg. 235.
[29] Si tratta di un voluto e diretto richiamo alla penombra e al silenzio delle chiese romaniche. Colloquio con Orlando Gasperini (estate 2005).
[30] “E l'angelo gridò con voce potente: ‘E' caduta, è caduta Babilonia la grande! E' diventata ricettacolo di demoni, covo di ogni spirito immondo, rifugio di ogni uccello impuro e abominevole’” (Apocalisse 18, 2). Martin Lutero ed altri predicatori della Riforma pensavano che Babilonia fosse la chiesa Cattolica, e che il Papa fosse la bestia.
[31] Su queste figure si veda l’intervento di Paul Renner in Quo vadis, Rovereto, Nicolodi 2003, pp. 17-18.
[32] Il gatto introduce un aspetto domestico, rimanda alla cerchia degli affetti familiari.
[33] “Nell'adolescenza dell'anno / Venne Cristo la tigre” (T. S. Eliot, “Gerontion”, in Opere: 1904-1939, Milano, Bompiani 2001, p. 499.
[34] Massimo Cacciari, L’angelo necessario, Milano, Adelphi 1986, p. 102
[35] Nel gioco dei riferimenti una fonte che riveste una importanza non sottovalutabile è l’opera di Michelangelo. Soprattutto per ciò che concerne l’aspetto profano dei suoi soggetti religiosi, in particolare nella rappresentazione delle schiere angeliche.
[36] Granfranco Ravasi, “Gli Angeli tra Antico e Nuovo Testamento”, in Marco Bussagli e Mario D’Onofrio (a cura di), Le Ali di Dio. Messaggeri e guerrieri alati tra Oriente e Occidente, Milano, Silvana 2000.
[37] Il Quadrato Magico è il nome con cui è conosciuto questo notissimo palindromo formato da cinque parole di cinque lettere che possono essere lette indifferentemente nelle quattro direzioni dei lati del quadrato stesso.
[38] “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte” (Romani, 5. 12) “Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita” (Romani, 5. 18).
[39] Quo vadis, op. cit., p. 19.
[40] “L’episodio è sottratto al passato storico, a una data precisa, ed è consegnato al presente infinito della coscienza e della fede partecipata con tutti i sensi” (Orlando Gasperini, Estate 2005).
[41] “Il nudo è una forma d’arte scoperta dai Greci del V secolo a.C., esattamente come l’opera in musica è una forma creata nel ‘600 in Italia. Questa definizione è forse inattesa, ma ha il merito di mettere in evidenza il fatto che il nudo non è un oggetto, bensì una forma d’arte” (Kenneth Clark, Il nudo. Uno studio della forma ideale, Vicenza, Neri Pozza 1995, p.12).
[42] “La formazione cattolica ricevuta in ‘buona fede’ ma con estrema rassegnazione, stanchezza e ripetitività, privata in gran parte del messaggio originale d’amore e gioia, è diventata soprattutto nell’infanzia e nella prima adolescenza, presenza ossessiva, quasi un castigo quotidiano con il quale rapportare ed umiliare costantemente la propria umana fisicità. A ciò devo, nella mia pittura, il mio continuo ricorso al corpo quale massima espressione di Dio, corpo tanto grande e tanto bello da desiderarne uno Dio stesso” (Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini, op. cit., p. 38).
[43] Henri de Lubac, Corpus mysticum, Milano, Jaca book 1982.
[44] Vangelo di Tommaso, 27; Mircea Eliade, Mefistofele e l’androgine, Roma, Edizioni Mediterranee 1971.
[45] Moshe Idel, Cabala ed erotismo: metafore e pratiche sessuali nella cabala, Milano, Mimesis 1993, p. 21 e 28.
[46] François Jullien, Il nudo impossibile, Roma, Luca Sassella 2004, p. 20.
[47] Georges Bataille, L’erotismo, Sugar 1967, p. 22.
[48] Ibidem.
[49] Il titolo del quadro è Dal Cantico dei cantici, 8 Ct. 6, 7. I versetti cui si riferisce, pronunciati dalla Sposa, sono i seguenti:
[6]Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
[7]Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio.
50 Vittoria Coen (a cura di), Orlando Gasperini,op. cit., p. 39.
51 Una eccezione negli acquarelli del ciclo soggetti al corpo.
52 Spesso, quasi come una firma, compare il cordone ombelicale, filo rosso, continuità, lega tra loro gli avvenimenti della vita e questi all’origine.
53 Zeus “tagliò gli esseri umani in due, come quelli che tagliano le sorbe per farle essiccare, o come quelli che tagliano le uova con un crine. E per ciascuno di quelli che tagliava dava ordine ad Apollo di rivoltargli la faccia e la metà del collo verso la parte del taglio, in modo che l'essere umano, vedendo questo suo taglio, diventasse più mansueto. E Apollo rivoltava la faccia, e tirando da ogni parte la pelle su quello che oggi viene chiamato ventre, come si fa con le borse che si contraggono, la legava nel mezzo del ventre, facendo una specie di bocca che ora si chiama ombelico e spianava molte altre pieghe. Ma ne lasciò qualcuna intorno al ventre medesimo e intorno all'ombelico, in modo che restasse il ricordo dell'originario castigo” (Platone, Simposio, 189 D-190 E).
54 Fallo (De Sancti Antonimi Tentationibus; Iustitia; Polittico; Ai confini del corpo)
55Ciò/CHE/RIMANE,/IN/FONDO,/è/LA/SOLA/TRACCIA/E/IL/DESIDERIO/RACCHIUSO/IN/ESSA/DI/RIUSCIRE /A/LENIRE/IL/SENSO/DI/SOLITUDINE/E/IL/DOLORE/CHE/RACCHIUDE/L'UMANA/ESISTENZA (http://gasperini.altervista.org)
9. I cicli
AMORI (1985-1991)
Amori; Caino e Abele; Strega; Penelope; Lei; L’angelo custode; Notturno
CARNE E CIELO (1990-2002)
De Sancti Antonii Tentationibus; Sancti Hieronymi Solitudo; L'Angelo; il Diavolo; la Morte; Anime salve; Fides; Spes; Caritas; Sanctitas; Superbia; Idolatria; Gula; Ira; Fortitudo; Impudicitia; Pigritia; Iustitia; Prudentia; Temperantia; Invidia; Dal Cantico dei Cantici, 8 Ct. 6,7
LA NATURA DELLE COSE (2000)
24 tessere
PICCOLI (S)OGGETTI (2000-2005)
(S)oggetto al corpo – sedia; (S)oggetto al corpo – croce; (S)oggetto al corpo – piatto; (S)oggetto al corpo - tazza e bicchiere; (S)oggetto al corpo – bottiglie; (S)oggetto al corpo – bottiglia; (S)oggetto al corpo - frammenti di bottiglia
MY LIFE (2001)
My Family; Occhi(ali); Mariella; Mattia - Chiara - Gerardo – Mariateresa; Domizio; Drive all Night (Sogno di una notte di mezza estate); Drive all Day (Colazione sull’erba)
QUO VADIS (2003)
Sacro Amore; Padre Nostro; Altari; S. Sebastiano - Fuga in Egitto - S. Rocco; Quo Vadis Domine?; Decalogo I,II,III,IV,V; Decalogo VI,VII,VIII,IX,X; S. Francesco, Deposizione, S. Giorgio; Bestemmie; I Quattro Cavalieri; Cogito Ergo Sum
AMORE IMPERFETTO (2003)
Amore Perfetto; Amore Imperfetto; Amore Imperfetto; Amore Imperfetto; Amore Imperfetto ; Amore Imperfetto; Amore Imperfetto
IMAGO MUNDI (1999-2003: sono raccolti i lavori che hanno in comune un tema sociale)
Salve Regina; Padre Nostro; Cartoline dall'Inferno (Buona Pasqua); Cartoline dall'Inferno (Buon Natale); 11 settembre; Quinto Stato; Bestemmie; Minotauri
SOGGETTI AL CORPO (2004)
L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; L'Anima del Corpo; Nulla è cambiato
DISTANZE (2004-2005)
10. Bibliografia
Gasperini Orlando / a cura di Carlo Pacher. – Milano, Venezia, Trento : 1982
Parliamo d’arte : mostra collettiva di arstisti del C3 / Comprensorio Bassa Valsugana e Tesino, 1990
Poeti e pittori in Valsugana / a cura di Luciano Coretti...et al. – Borgo Valsugana (TN) Aemme, 1993
Carne e cielo / a cura di Giovanna Nicoletti. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2001
Le vie e le ricerche / a cura di Vittoria Coen e Riccarda Turrina. - Milano : Mazzotta, 1999
Il Melograno Associazione d’Arte / a cura di Mario Cossali. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2000
My life / a cura di Vittoria Coen. – Rovereto (TN) : Nicolodi, 2001
Arte e territorio / a cura di Ierma Sega. – Borgo Valsugana (TN) : Comprensorio Bassa Valsugana e Tesino, 2001
La riscoperta dell’immagine di Vigilio nell’autenticità e nella sensibilità odierna / a cura di Romano Perusini. – Trento : Museo Diocesano Tridentino, 2001
“Strie” metamorfosi dell’immaginario / a cura di Renzo Francescotti. – Trento : Consiglio della provincia Autonoma di Trento, 2001
Artempatica : profili lirici di artisti amici / Renzo Francescotti. – Trento : Temi, 2002
Poesia, musica e pittura : omaggio al Novecento / Istituto d’Istruzione Secondaria “Alcide Degasperi”. – Borgo Valsugana (TN), 2002
Everest : l’orizzonte curvo della fantasia / a cura di Vittoria Coen. – Rovereto (TN) : Nicolodi, 2002. + cd rom
4 da Everest / a cura di Vittoria Coen. – Rovereto (TN) : Nicolodi, 2002
50 artisti con S. Romedio / a cura di Carlo Recla. – Romeno (TN), 2002
Roncegno Plein-air 2003 / Associazione d’Arte Il Melograno. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2003
L’eco della salvezza / a cura di Mario Cossali. –|Nicolodi Editore| , Isera (TN) : 2003
Quo vadis / a cura di Mario Cossali, testo di Paul Renner. – Rovereto (TN) : Nicolodi, 2003
Arte Trentina del ‘900 : 1975-2000 / a cura di Maurizio Scudiero. – Trento : Consiglio della provincia Autonoma di Trento, 2003
Situazioni Trentino Arte 2003 / a cura di Gabriella Belli. – Milano : Skira, 2003
Premio Open Art 2004 / a cura di Giovanni Morabito. – Roma : Multiprint, 2004
Consorzio dei Comuni B.I.M. Brenta / Giancarlo Orsingher, Franco Sandri. – Trento : Temi, 2004
Vietato ai minori : i miei primi diciotto anni / a cura di Mario Cossali. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2004
Passione di mela : percorsi artistici da eva al microchip / a cura di Maddalena Tomasi, Vittoria Coen...et al.- Trento : Cromopress, 2004
Gatti di Orlando & Elisabetta Gasperini. – Scurelle (TN) : Litodelta, 2004
Distanze / a cura di Maurizio Scudiero. – Rovereto (TN) :Nicolodi Editore, 2005
Disseminar l’arte nel prato / foto di Lucio Linguanotto - Cittadella (PD) : Il Fotogramma, 2006
…E allora vo a disseminar (l’arte) nel prato! / foto di Tiziano Previstali – Azzano S Paolo (BG) : FotoTiziano, 2006