Mario Cossali
L'ECO DELLA SALVEZZA
2003
Loggiato del Municipio, Isera
Spesso mi trovo,
interdetto, a pensare che l’attività dell’uomo, ogni attività
umana sia contrassegnata dal tentativo ricorrente di esorcizzare il
pensiero e la presenza stessa, ingombrante ed in quietante, della
morte.
Orlando Gasperini sembra esserne altrettanto convinto quando afferma, senza tanti giri di parole, che, del lavoro artistico “ciò che rimane, in fondo, è la sola traccia e il desiderio racchiuso in essa di riuscire a lenire il senso di solitudine e il dolore che racchiude l’umana esistenza”.
La sua pittura affronta di petto, con un coraggio interiore che non sfiora mai la sfrontatezza e la temerarietà, proprio il fantasma della morte, quel fantasma che sempre ci accompagna e che vediamo riflesso nello specchio della vita.
Per questo probabilmente la pittura di Orlando Gasperini, nitida, lucida e liquida oltre ogni possibile aspettativa, incute timore e financo una certa paura.
Si tratta di pittura definitivamente figurativa, inconsolabilmente figurativa; non consola lo sguardo e non trova nemmeno prevedibili giustificazioni concettuali.
Sottile, permanente, tagliente inquietudine: ecco che cosa traspare dall’olio del pittore sapientemente tirato e disegnato.
Indiscutibile il senso di sacralità che si diffonde; sacralità del gesto in sé e della traccia che rimane, per usare le parole di Gasperini, quella traccia che il gesto ha costruito per una nuova liturgia.
Il colore accompagna con coerenza la composizione, le dà quella vibrazione e quella tensione che colpisce lo sguardo quando ha anche la più breve occasione di incontrarsi con esso.
La sacralità di Orlando Gasperini comprende l’umanità in tutta la sua potenza e insieme in tutta la sua precarietà.
“Nihil humani mihi alienum puto”, può ben ripetere il nostro artista.
E’ un’umanità che ha tanti volti, quelli vicini e cari, familiari, quelli anonimi e quelli più lontani e non meno cari; un’umanità che conserva in ogni posa l’atteggiamento della domanda e dell’interrogazione.
E’ proprio il contrasto tra la compattezza per certi versi eccessiva della figura e l’ansia della ricerca che da essa promana a sconvolgere la visione, che dunque per questo motivo non appare mai rassicurante.
Eppure nella perdita, e più nella perdita che nell’acquisto, si sente l’eco della salvezza. A quell’eco si arriva dopo un lungo viaggio: vale in generale per la vita ma anche per la pittura di Orlando Gasperini.
Orlando Gasperini sembra esserne altrettanto convinto quando afferma, senza tanti giri di parole, che, del lavoro artistico “ciò che rimane, in fondo, è la sola traccia e il desiderio racchiuso in essa di riuscire a lenire il senso di solitudine e il dolore che racchiude l’umana esistenza”.
La sua pittura affronta di petto, con un coraggio interiore che non sfiora mai la sfrontatezza e la temerarietà, proprio il fantasma della morte, quel fantasma che sempre ci accompagna e che vediamo riflesso nello specchio della vita.
Per questo probabilmente la pittura di Orlando Gasperini, nitida, lucida e liquida oltre ogni possibile aspettativa, incute timore e financo una certa paura.
Si tratta di pittura definitivamente figurativa, inconsolabilmente figurativa; non consola lo sguardo e non trova nemmeno prevedibili giustificazioni concettuali.
Sottile, permanente, tagliente inquietudine: ecco che cosa traspare dall’olio del pittore sapientemente tirato e disegnato.
Indiscutibile il senso di sacralità che si diffonde; sacralità del gesto in sé e della traccia che rimane, per usare le parole di Gasperini, quella traccia che il gesto ha costruito per una nuova liturgia.
Il colore accompagna con coerenza la composizione, le dà quella vibrazione e quella tensione che colpisce lo sguardo quando ha anche la più breve occasione di incontrarsi con esso.
La sacralità di Orlando Gasperini comprende l’umanità in tutta la sua potenza e insieme in tutta la sua precarietà.
“Nihil humani mihi alienum puto”, può ben ripetere il nostro artista.
E’ un’umanità che ha tanti volti, quelli vicini e cari, familiari, quelli anonimi e quelli più lontani e non meno cari; un’umanità che conserva in ogni posa l’atteggiamento della domanda e dell’interrogazione.
E’ proprio il contrasto tra la compattezza per certi versi eccessiva della figura e l’ansia della ricerca che da essa promana a sconvolgere la visione, che dunque per questo motivo non appare mai rassicurante.
Eppure nella perdita, e più nella perdita che nell’acquisto, si sente l’eco della salvezza. A quell’eco si arriva dopo un lungo viaggio: vale in generale per la vita ma anche per la pittura di Orlando Gasperini.