Giovanna Nicoletti
CARNE E CIELO SI INCONTRANO ALTROVE
1999
Sala
Esposizioni, Borgo Valsugana
“Carne e Cielo” è
il titolo del ciclo di lavori recenti realizzati da Orlando
Gasperini.
Carne e Cielo rappresenta lo spazio tra la dimensione terrena e quella celeste, rappresenta il luogo dove si compie ogni possibile rivelazione. E’ lo spazio dove si incarna l’uomo con le sue speranze e le sue debolezze e si rivela il mistero dell’esistere.
Sulle tele di Orlando Gasperini la pittura si fa densa di luci e colori, di aspetti tonali che sottolineano il riferimento all’atmosfera trattenuta e sospesa delle consuete raffigurazioni del concetto di Vanitas. In “Carne e Cielo” la figura diventa protagonista assoluta. Sostituisce quegli oggetti –“fermati in un istante” – che usualmente abitano le nature morte.
E’ piuttosto naturale il riferimento ai temi di una certa pittura seicentesca e alla sensualità di un percorso simbolista. Ma, più stimolante appare il raffronto con la memoria del realismo di Courbet. Un “realismo” capace di riempire gli occhi e i sensi di “materia”, dove i corpi sono sopraffatti da uno stato sospeso, sopito, che allude fortemente al sonno, alla sessualità e al vuoto della morte, dell’azzeramento di ogni pensiero.
Come ogni oggetto materiale anche la figura contiene dentro di sé l’immagine della propria consunzione. I soggetti si rivelano nello spazio di un attimo, di un istante, che è rappresentazione dell’immobilità, di una posa, di una messa in scena, che difficilmente corrisponde al loro movimento naturale.
La caducità della natura umana è svelata sulle superfici dedicate ai Vizi e Virtù cardinali e teologali, al deserto della solitudine e alle tentazioni. Figure di santi, di uomini e donne si alternano mostrando, attraverso la propria nudità, la debolezza e l’insofferenza della carne, della figura e della forma. Una sottile incomunicabilità stacca i corpi dai fondali, isolandoli da un possibile contesto che evidenzierebbe piuttosto la realtà. Vizi e virtù incarnano il senso della storia contemporanea. Le tentazioni sviluppano, piuttosto, un percorso assolutamente umano complicato da inusitate inquadrature che catturano perché crude, nitide, evidenti. Non lasciano nulla di non espresso, di non detto. Sono talmente vicine al dato reale da sublimarlo, da renderlo artificiale.
Accanto all’aspetto letterario dei soggetti preme sottolineare l’impressiva forza della tecnica pittorica che si avvicina a quella mediale.
E’ in particolare, nella solitudine del salve Regina che la pittura appare come una mirabile sequenza filmica. Ogni fotogramma è saturato da un urlante delirio, da una straordinaria strutturazione pittorica capace di trasformarsi in immagine fotografica di un reportage. Ombre e luci pervadono l’incanto del colore e determinano una profondità illimitata fatta di cielo senza orizzonti. Il corpo umano ancora una volta abita la superficie e nella complicata composizione si offre come un sacrificio, come agnello sacrificale.
Nella dimensione della sofferenza si muove la ricognizione sul reale di Orlando Gasperini. Carica di materia, di lucida lettura degli eventi, non nasconde un forte sentimento di energia critica e operosa.
L’intensa teatralità delle composizioni, rese manifesti dalle particolari dimensioni e collocazioni dei diversi telai che compongono le opere, si accompagna allora alla complessa specificità del segno che spiega l’idea, il pensiero. Segno e significante vengono a coincidere nella definizione dei testi e delle loro rappresentazioni per svelare il desiderio di seduzione e di autonomia che la pittura definisce nelle sue potenzialità dialettiche metastoriche.
L’oggetto della pittura è definito come frammento, sospeso e sofferto. Si spinge alla ricerca di un possibile ordine per fermare la cognizione del dolore. Gli scorci sono acuti, offrono tagli improvvisi e inaspettati che plasmano i corpi e li denudano della loro intimità, del loro più nascosto segreto. Il corpo, soggetto inquieto, perde la propria consistenza fisica e acquista una valenza simbolica di contenuto. Risulta un effetto estraniante di senso e la pittura si allontana dal quotidiano rincorrendo antichi temi e interrogativi destinati a restare senza risposta. Se la rappresentazione pittorica è una maschera, è una simulazione, è lecito chiedersi quale sia il senso della pittura, se essa non rappresenta nessuna verità? Nei trattati seicenteschi, in Lo mazzo in particolare, la risposta è data dalla convinzione che l’arte è una medicina, “guarisce dall’apparenza facendone vedere le ragioni, anche se non giungendo alla verità”.
Carne e Cielo rappresenta lo spazio tra la dimensione terrena e quella celeste, rappresenta il luogo dove si compie ogni possibile rivelazione. E’ lo spazio dove si incarna l’uomo con le sue speranze e le sue debolezze e si rivela il mistero dell’esistere.
Sulle tele di Orlando Gasperini la pittura si fa densa di luci e colori, di aspetti tonali che sottolineano il riferimento all’atmosfera trattenuta e sospesa delle consuete raffigurazioni del concetto di Vanitas. In “Carne e Cielo” la figura diventa protagonista assoluta. Sostituisce quegli oggetti –“fermati in un istante” – che usualmente abitano le nature morte.
E’ piuttosto naturale il riferimento ai temi di una certa pittura seicentesca e alla sensualità di un percorso simbolista. Ma, più stimolante appare il raffronto con la memoria del realismo di Courbet. Un “realismo” capace di riempire gli occhi e i sensi di “materia”, dove i corpi sono sopraffatti da uno stato sospeso, sopito, che allude fortemente al sonno, alla sessualità e al vuoto della morte, dell’azzeramento di ogni pensiero.
Come ogni oggetto materiale anche la figura contiene dentro di sé l’immagine della propria consunzione. I soggetti si rivelano nello spazio di un attimo, di un istante, che è rappresentazione dell’immobilità, di una posa, di una messa in scena, che difficilmente corrisponde al loro movimento naturale.
La caducità della natura umana è svelata sulle superfici dedicate ai Vizi e Virtù cardinali e teologali, al deserto della solitudine e alle tentazioni. Figure di santi, di uomini e donne si alternano mostrando, attraverso la propria nudità, la debolezza e l’insofferenza della carne, della figura e della forma. Una sottile incomunicabilità stacca i corpi dai fondali, isolandoli da un possibile contesto che evidenzierebbe piuttosto la realtà. Vizi e virtù incarnano il senso della storia contemporanea. Le tentazioni sviluppano, piuttosto, un percorso assolutamente umano complicato da inusitate inquadrature che catturano perché crude, nitide, evidenti. Non lasciano nulla di non espresso, di non detto. Sono talmente vicine al dato reale da sublimarlo, da renderlo artificiale.
Accanto all’aspetto letterario dei soggetti preme sottolineare l’impressiva forza della tecnica pittorica che si avvicina a quella mediale.
E’ in particolare, nella solitudine del salve Regina che la pittura appare come una mirabile sequenza filmica. Ogni fotogramma è saturato da un urlante delirio, da una straordinaria strutturazione pittorica capace di trasformarsi in immagine fotografica di un reportage. Ombre e luci pervadono l’incanto del colore e determinano una profondità illimitata fatta di cielo senza orizzonti. Il corpo umano ancora una volta abita la superficie e nella complicata composizione si offre come un sacrificio, come agnello sacrificale.
Nella dimensione della sofferenza si muove la ricognizione sul reale di Orlando Gasperini. Carica di materia, di lucida lettura degli eventi, non nasconde un forte sentimento di energia critica e operosa.
L’intensa teatralità delle composizioni, rese manifesti dalle particolari dimensioni e collocazioni dei diversi telai che compongono le opere, si accompagna allora alla complessa specificità del segno che spiega l’idea, il pensiero. Segno e significante vengono a coincidere nella definizione dei testi e delle loro rappresentazioni per svelare il desiderio di seduzione e di autonomia che la pittura definisce nelle sue potenzialità dialettiche metastoriche.
L’oggetto della pittura è definito come frammento, sospeso e sofferto. Si spinge alla ricerca di un possibile ordine per fermare la cognizione del dolore. Gli scorci sono acuti, offrono tagli improvvisi e inaspettati che plasmano i corpi e li denudano della loro intimità, del loro più nascosto segreto. Il corpo, soggetto inquieto, perde la propria consistenza fisica e acquista una valenza simbolica di contenuto. Risulta un effetto estraniante di senso e la pittura si allontana dal quotidiano rincorrendo antichi temi e interrogativi destinati a restare senza risposta. Se la rappresentazione pittorica è una maschera, è una simulazione, è lecito chiedersi quale sia il senso della pittura, se essa non rappresenta nessuna verità? Nei trattati seicenteschi, in Lo mazzo in particolare, la risposta è data dalla convinzione che l’arte è una medicina, “guarisce dall’apparenza facendone vedere le ragioni, anche se non giungendo alla verità”.