Gli amori, i dolci amori
che negli angoli della stagione della vita ci afferrano e ci
ubriacano. E i dolori sordi e acuti che ci accompagnano e che ci
feriscono. I nostri amori con le loro chiuse passioni che si
frantumano, anche quando sappiamo con coraggio e per paura
rigenerarle; con le speranze che creano e le memorie che illuminano
e ci riscaldano, con la violenza inattesa dei loro tradimenti e il
buio angoscioso della loro caducità. I nostri amori che l’anima
perennemente dispensa come un bisogno che oltrepassa il tempo e l’età
ma che l’esperienza quotidiana, carissima e ambigua compagna, sa
solo raccogliere in frammenti e alimentare in modo discontinuo e
bizzarro, che si affollano e ci tormentano inseguendoci fin dentro i
rifugi di ogni giorno per venire ricomposti gerarchicamente, in lotta
fra loro come nemici inconciliabili ; che non sappiamo ricomporre
armonicamente, solo ombre e folgorazioni di un’ansia profonda e
ineliminabile di quieta, appagante totalità.
nostri amori a cui con costanza ci aggrappiamo per non confonderci in orizzonti senza mete, sacri e profani, braci nella cenere, prigionieri di se stessi. Sappiamo che ci sono necessari, che tenteremo di volta in volta di non lasciarci sconvolgere dalla loro forza selvaggia, che non potranno soddisfare fino in fondo la nostra sete di assoluto, di amore.
Ogni persona, fin dall’infanzia, scopre quanto questa battaglia sia parte ineludibile dell’esistenza quotidiana, anche se, forse, la coscienza della sua ineluttabile continuità si fa strada solo dopo molte scaramucce, ritenute sempre come determinanti.
Nell’educazione religiosa che abbiamo ricevuto, e che fa parte integrante della nostra comune cultura, ci è stato affidato un discorso sull’amore e sugli amori, sulla vita e sulla morte (a cui sono intimamente legati fino ad assumerne l’identità), sulla “terra” e sul “cielo” che, anche se il cuore e la ragione condividono, faticano a radicarsi nell’esperienza soggettiva, rivelano tratti contraddittoriamente funerari, non sanno esaurire la nostra aspirazione umana di spingerci lontano, sempre un poco più lontano, alla ricerca di Dio, per vincere la morte partendo da dentro l’avventura terrena.
Le opere che Orlando Gasperini ci propone, suggeriscono una riflessione intensa sugli amori e sull’amore, sul sacro e il profano, sulla vita e la morte; i quadri, con i loro titoli, il loro formato, il loro ordine espositivo, compongono un discorso espressivo complesso in cui non si può, all’insieme, che identificarsi e non pienamente riconoscersi, che richiamano sentimenti rimossi ed emozioni che credevamo definitivamente scomparse. E' scontato : su questo terreno gioca notevolmente la soggettività della propria storia personale e ognuno di noi giustamente tiene molto a questo tratto di originalità ed esclusività, è geloso dei “propri amori”. Solo l’artista ha l’ardire di vincere la propria gelosia costringendo, chi da visitatore diviene “lettore” e “ascoltatore”, ad un incontro con se stesso, a comprendere quanto ci comunica per comprenderci sinceramente, forse meglio e un poco di più
Colpisce, ad esempio, la chiara sensazione di precarietà, di caducità e di inadeguatezza che ogni amore porta con sé.
Si origina segretamente, si è due diverse identità in spazi fisici-relazionali autonomi; l’attrazione non è subito reciproca, in qualsiasi caso ha pulsioni diverse, non possiede sempre qualcosa di indecifrabile la genesi di un amore, l’uomo e la donna dei novelli Adamo ed Eva, che si scoprono e inventano reciprocamente la propria identità riflettendosi nell’altro? E non accade spesso che un nuovo amore esiga di uccidere il precedente, di negare altri amori simili di eguale significato del passato, di essere disponibili a morire come singoli per rigenerarsi insieme come amanti?
Ogni nuovo amore, però, può trasformarsi in una rivelazione : chi gli appare avversario (anche la religione soprattutto se intesa come insieme di prescrizioni che ti tormentano l’anima e il corpo) suscita timore e perde ogni significato; ma timore crea anche la percezione di perdere la propria precedente identità, di dover cambiare senza essere del tutto convinti che l’altro stia diventando te stesso, che tu non sia solo un suo oggetto.
Su molti altari si possono celebrare i singoli amori e la morte di un amore non è la morte dell’amore.
Sensazione di caducità e di inadeguatezza che trova incisività espressiva sia nelle tonalità cromatiche livide e innaturali, sia nel taglio delle immagini, che esaltano i corpi e gli abiti, che alludono emozioni e sentimenti, che rifiutano i volti e gli imbarazzi inquietanti degli occhi. Linee nette, che spingono chi le osserva a cercare al di là di quanto si può percepire visivamente ; persone e cose che si lasciano solo intuire, come se la realtà non potesse che essere per l’artista che rappresentata per indizi sia della coscienza che della ragione.
nostri amori a cui con costanza ci aggrappiamo per non confonderci in orizzonti senza mete, sacri e profani, braci nella cenere, prigionieri di se stessi. Sappiamo che ci sono necessari, che tenteremo di volta in volta di non lasciarci sconvolgere dalla loro forza selvaggia, che non potranno soddisfare fino in fondo la nostra sete di assoluto, di amore.
Ogni persona, fin dall’infanzia, scopre quanto questa battaglia sia parte ineludibile dell’esistenza quotidiana, anche se, forse, la coscienza della sua ineluttabile continuità si fa strada solo dopo molte scaramucce, ritenute sempre come determinanti.
Nell’educazione religiosa che abbiamo ricevuto, e che fa parte integrante della nostra comune cultura, ci è stato affidato un discorso sull’amore e sugli amori, sulla vita e sulla morte (a cui sono intimamente legati fino ad assumerne l’identità), sulla “terra” e sul “cielo” che, anche se il cuore e la ragione condividono, faticano a radicarsi nell’esperienza soggettiva, rivelano tratti contraddittoriamente funerari, non sanno esaurire la nostra aspirazione umana di spingerci lontano, sempre un poco più lontano, alla ricerca di Dio, per vincere la morte partendo da dentro l’avventura terrena.
Le opere che Orlando Gasperini ci propone, suggeriscono una riflessione intensa sugli amori e sull’amore, sul sacro e il profano, sulla vita e la morte; i quadri, con i loro titoli, il loro formato, il loro ordine espositivo, compongono un discorso espressivo complesso in cui non si può, all’insieme, che identificarsi e non pienamente riconoscersi, che richiamano sentimenti rimossi ed emozioni che credevamo definitivamente scomparse. E' scontato : su questo terreno gioca notevolmente la soggettività della propria storia personale e ognuno di noi giustamente tiene molto a questo tratto di originalità ed esclusività, è geloso dei “propri amori”. Solo l’artista ha l’ardire di vincere la propria gelosia costringendo, chi da visitatore diviene “lettore” e “ascoltatore”, ad un incontro con se stesso, a comprendere quanto ci comunica per comprenderci sinceramente, forse meglio e un poco di più
Colpisce, ad esempio, la chiara sensazione di precarietà, di caducità e di inadeguatezza che ogni amore porta con sé.
Si origina segretamente, si è due diverse identità in spazi fisici-relazionali autonomi; l’attrazione non è subito reciproca, in qualsiasi caso ha pulsioni diverse, non possiede sempre qualcosa di indecifrabile la genesi di un amore, l’uomo e la donna dei novelli Adamo ed Eva, che si scoprono e inventano reciprocamente la propria identità riflettendosi nell’altro? E non accade spesso che un nuovo amore esiga di uccidere il precedente, di negare altri amori simili di eguale significato del passato, di essere disponibili a morire come singoli per rigenerarsi insieme come amanti?
Ogni nuovo amore, però, può trasformarsi in una rivelazione : chi gli appare avversario (anche la religione soprattutto se intesa come insieme di prescrizioni che ti tormentano l’anima e il corpo) suscita timore e perde ogni significato; ma timore crea anche la percezione di perdere la propria precedente identità, di dover cambiare senza essere del tutto convinti che l’altro stia diventando te stesso, che tu non sia solo un suo oggetto.
Su molti altari si possono celebrare i singoli amori e la morte di un amore non è la morte dell’amore.
Sensazione di caducità e di inadeguatezza che trova incisività espressiva sia nelle tonalità cromatiche livide e innaturali, sia nel taglio delle immagini, che esaltano i corpi e gli abiti, che alludono emozioni e sentimenti, che rifiutano i volti e gli imbarazzi inquietanti degli occhi. Linee nette, che spingono chi le osserva a cercare al di là di quanto si può percepire visivamente ; persone e cose che si lasciano solo intuire, come se la realtà non potesse che essere per l’artista che rappresentata per indizi sia della coscienza che della ragione.