Fiorenzo Degasperi
LO SPIRITO CARNALE DI
ORLANDO GASPERINI
1999
Orlando Gasperini ritorna ad esporre le sue opere. Lo fa dopo
qualche anno votato interamente a redigere un ciclo di lavori
dedicata alla “Carne e Cielo”, ovvero ai sette vizi capitali che
l’uomo, da quando fu scacciato dall’Eden da un Padre irato, non
ha potuto o voluto resistere.
Una puntigliosa attenzione ad una pittura realista, anzi quasi iperrealista. Lo stile adottato, un trompe d’oeil di barocca memoria, per cogliere al meglio le potenzialità narrative. D’altra parte questo modo di procedere è il suo da molto tempo. E’ ciò che lo contraddistingue dalle frementi apparizioni effimere di tanta arte contemporanea. Attraverso una minuziosa consapevolezza nel creare la verosimiglianza tra realtà e illusione, adottando una pratica pittorica certosina curata fin nei minimi particolari, l’artista ha voluto mettere in scena ciò che la società quotidianamente trasforma da stimolo visivo, storicamente carico di senso, in tentazione svuotata dalle proprie radici. Le scaglie del serpente con testa di donna hanno un valore che trascende sicuramente il dato di fatto solo pittorico, così come i corpi di donna e d’uomo proiettati in un’atmosfera cupa da autunno del medioevo, avviluppati in panneggi e pizzi dove l’occhio è portato ad unirsi con la fantasia. Gasperini racconta lo spaesamento di chi si trova a vivere all’interno di un carosello fine a se stesso utilizzando una simbologia che presuppone una conoscenza agiografica e teologica unita ad uno sguardo consapevole sugli eventi storici.
Il risultato è la messa in scena di personaggi raffigurati come creature possibili, idealtipi, exempla, per usare un termine caduto in disuso, e non presenze evanescenti senza cronaca e senza storia. Il riportare alla realtà concreta gli elementi di un’elegia escatologica è finalizzato ad intaccare quell’unidimensionalità del mondo che, fin troppo, è data per scontata, riducendo l’uomo a seguire fatalisticamente gli accadimenti che lo coinvolgono. In questo contesto le donne dal corpo affascinante, eroticamente presenti, sessualmente eccitanti, quei forti torsi, possenti, d’uomini con la testa reclinata come piante in un autunno melanconico, rientrano in un dato di realtà. Lo sta a dimostrare la presenza inquietante del teschio: memoria continua, seicentesca, dell’irrealtà della realtà (illusione, maya la chiamerebbero gli indù), dell’effimero soffio del vento, della fragilità e del suo mondo di desideri e piaceri (Vanita , appunto, vani, vuoti, temporanei). L’invisibile è visibile anche per chi non sa o non crede.
Non c’è che dire. Gasperini rende le atmosfere irrespirabili anche ad un’ottimista integrale. Quelle presenze possibili ci attanagliano, ci legano, fanno sprofondare sempre più, giù verso gironi che non hanno fine. Nella caduta non smettiamo di sognare o, probabilmente, non vogliamo dimenticare alcuni frammenti visivi, trasformandoli in ricordo: quel pube, grotta recondita a metà strada tra piacere e legame con la madre terra, quel pene adagiato, colto mentre dorme nell’attesa di un risveglio preannunciato, come certa è la primavera dopo l’inverno. La stessa rosa miniata sul seno – i seni, simboli da accarezzare con la mente prima che con la mano – riporta Afrodite tra noi e chissà che non sia stato proprio Adone a tatuarla, offrendo così un significativo segno sanguigno del suo amore, della sua simpatia, ma soprattutto della sua fertilità.
Queste scene ci portano lontano. Sono schegge di un desiderio sopito, risvegliato dal vizio e da questi rigettato dietro una corona sgranata da antiche mani. I corpi nudi, sudati, avvinghiati, trasportati oltre i confini del reale sono separati iconograficamente da una particola, da un’ostia alzata con mani ferme. Cerchio magico, simbolo che racchiude il corpo – corpo universale -, ogni speranza e ogni resurrezione per uscire dal labirinto di vizi e virtù. Cerchio spezzato dall’ostia speranza, cibo della devozione e dell’amore fraterno : mensa spirituale che sublima la tavola gastronomica e quella dei sensi.
Nonostante ciò non possiamo fare a meno di pensare come la fine del vizio possa coincidere con l’inizio della virtù e viceversa.Questo lo insegnano i sapienti indù, quelli giapponesi, ma anche l’estasi dei nostri martiri e dei nostri santi. Ogni confine, per suo statuto, è immaginario e labile .Attraversarlo è facile, riattraversarlo non sempre. Forse per questo Gasperini ha frammentato il discorso con apparizioni segniche e simboliche religiose. Elementi rassicuranti di una spedizione verso il buio del nostro futuro psichico. D’altra parte i pioli di una scala possono portare in alto quanto in basso e, capovolgendola, ne perdiamo il senso. La particola, la corona, la crocefissione, la Madonna, si alternano con l’idolatria, con la superbia, l’impudicizia, l’ira.
Il Bene e il Male, il desiderio risvegliato e il suo letargo. Il serpente si morde la coda, il cerchio della perfezione diventa il cerchio del tempo ripetuto e ciclico. I vizi nascono perché ci sono le virtù, le virtù prolificano sulla dispersione corporea e psichica dei vizi.
Eros e melanconia, vita e morte, vanità e rettitudine. Sono parole che si rincorrono, sofisticate chiavi per capire questo mondo pittorico dove le allegorie si scontrano con il pandemonio (Pan, il satiro masturbatore, stupratore di ninfe, ci offre la mania dello sguardo, la libidine da coltivare e da offrire alla famelica bocca spalancata della tigre/ S. Gerolamo).
L’artista si è rifatto sicuramente agli exempla della controriforma per delineare questo percorso mentale prima che pittorico. Proprio questa collocazione “temporale”, la bellezza dei corpi che abitano queste tele non è per niente mostruosa, come invece i bestiari altomedievali che si stagliano nella loro orripilante bruttezza sui capitelli di chiostri dimenticati da Dio e dall’uomo. Quelle di Gasperini sono invece tutte figure figlie del Demiurgo, di quel Cristo Salvatore che ha permesso alle scintille separate delle anime che vivono in esilio nel mondo, di sperare in una liberazione nel momento dell’avvento, alla fine dei tempi, della nuova creazione, di una parusia paradisiaca, e per questo umane fino in fondo.
La solitudine di S. Gerolamo, le tentazioni di S. Antonio. Accomuna i due Santi l’isolamento dal mondo, la lontananza dal fragore, una lotta perseguita tra l’Io/anima e il materiale in modo individuale. <personaggi con i sensi pronti a percepire l’ineffabile diventato Luce e, per noi spettatori, porta di una possibile salvezza. L’agiografia al servizio dell’arte (o viceversa?), dopo tanti anni di assenza. Questa è una chiamata in causa di paradigmi di santità ben diversa da quanto è avvenuto nella Controriforma, quando la Chiesa doveva parare i colpi di un luteranesimo che lasciava briglia sciolta all’anima, annullando ogni mediazione tra cielo e terra. Questo ciclo pittorico – sebbene formalmente diverso – ci riporta ad un altro S. Antonio, quello dipinto da Hieronymus Bosch nelle fosche tinte fiamminghe. Unisce i due lo stesso senso di libertà e di raccapriccio, l’uso complesso della simbolica per cantare un diverso essere al mondo. Bosch ricerca con tranquillo accanimento di superare ogni distinzione tra bene e male, tra vizio e virtù per rendere gli uomini simili agli animali selvaggi. Uomini Liberi perché a conoscenza dell’inganno del Demiurgo : la perfetta innocenza della carne in quanto opere non del Dio supremo, Protopadre immutabile e immobile, speculante in perfetto silenzio con il proprio Pensiero, ma frutto infinitamente superiore delle Tavole della Legge. Gasperini getta invece il suo grido verso una realtà e una società che vive perennemente nella contraddizione, nell’inganno e nella postura. Uomini che non si accorgono che la mela rossa non proviene sempre dal giardino delle Esperidi e può essere qualcos’altro dal significare l’eterno ritorno della vita e della morte.
Sancti Hieronymi Solitudo e De Sancti Antonimi tentationibus e ancora i Vizi Capitali : all’interno di questa iconografia letteraria l’artista agisce, abbandonando lo stupore infantile quando si accorge di aver avutopaura, perché sono nudo…(Genesi, 8-13). E’ inutile cercare una soluzione certa in queste opere. La nudità (la povertà) sembra ubbidire in ispirito all’assioma “uscite da voi stessi poiché io vi attiro” . E per uscire da sé è d’obbligo denudarsi nella certezza che l’uomo si apre e si dilata, le sue vene si spalancano, le sue forze non sono in grado di eseguire gli ordini ricevuti, ma il loro desiderio è già. “Non solo la natura, le piante, tutti gli elementi fioriscono, sbocciano, lussureggiano, ma l’uomo stesso, in quanto già in grado di possedere perfettamente l’Amata, bensì perché perfettamente desiderante” (Massimo Cacciari, introduzione a Le tentazioni di Sant’Antonio di Wilhelm Fraengher).
Una pittura sapienzale dunque quella di Gasperini. Un valore che si pensava dimenticato in un’attualità dove l’arte è tutto e il suo contrario, vaniloquio solipsistico e semplice valore di mercato. La arricchisce inoltre con un accorto uso del pennello – la materia del dipingere, la capacità di far scaturire un sogno dalla punta del pennello – nonché da un supporto teorico. Chi oggi, infatti, avrebbe la capacità di trattare i Vizi e le Virtù con cognizione di causa iconografica e agiografica? Soltanto colui che vive ai margini della baraonda modernista, fuori dagli steccati degli stereotipi artistici. Colui che, nel silenzio del suo eremo, rivolge lo sguardo dentro di sé.
Una puntigliosa attenzione ad una pittura realista, anzi quasi iperrealista. Lo stile adottato, un trompe d’oeil di barocca memoria, per cogliere al meglio le potenzialità narrative. D’altra parte questo modo di procedere è il suo da molto tempo. E’ ciò che lo contraddistingue dalle frementi apparizioni effimere di tanta arte contemporanea. Attraverso una minuziosa consapevolezza nel creare la verosimiglianza tra realtà e illusione, adottando una pratica pittorica certosina curata fin nei minimi particolari, l’artista ha voluto mettere in scena ciò che la società quotidianamente trasforma da stimolo visivo, storicamente carico di senso, in tentazione svuotata dalle proprie radici. Le scaglie del serpente con testa di donna hanno un valore che trascende sicuramente il dato di fatto solo pittorico, così come i corpi di donna e d’uomo proiettati in un’atmosfera cupa da autunno del medioevo, avviluppati in panneggi e pizzi dove l’occhio è portato ad unirsi con la fantasia. Gasperini racconta lo spaesamento di chi si trova a vivere all’interno di un carosello fine a se stesso utilizzando una simbologia che presuppone una conoscenza agiografica e teologica unita ad uno sguardo consapevole sugli eventi storici.
Il risultato è la messa in scena di personaggi raffigurati come creature possibili, idealtipi, exempla, per usare un termine caduto in disuso, e non presenze evanescenti senza cronaca e senza storia. Il riportare alla realtà concreta gli elementi di un’elegia escatologica è finalizzato ad intaccare quell’unidimensionalità del mondo che, fin troppo, è data per scontata, riducendo l’uomo a seguire fatalisticamente gli accadimenti che lo coinvolgono. In questo contesto le donne dal corpo affascinante, eroticamente presenti, sessualmente eccitanti, quei forti torsi, possenti, d’uomini con la testa reclinata come piante in un autunno melanconico, rientrano in un dato di realtà. Lo sta a dimostrare la presenza inquietante del teschio: memoria continua, seicentesca, dell’irrealtà della realtà (illusione, maya la chiamerebbero gli indù), dell’effimero soffio del vento, della fragilità e del suo mondo di desideri e piaceri (Vanita , appunto, vani, vuoti, temporanei). L’invisibile è visibile anche per chi non sa o non crede.
Non c’è che dire. Gasperini rende le atmosfere irrespirabili anche ad un’ottimista integrale. Quelle presenze possibili ci attanagliano, ci legano, fanno sprofondare sempre più, giù verso gironi che non hanno fine. Nella caduta non smettiamo di sognare o, probabilmente, non vogliamo dimenticare alcuni frammenti visivi, trasformandoli in ricordo: quel pube, grotta recondita a metà strada tra piacere e legame con la madre terra, quel pene adagiato, colto mentre dorme nell’attesa di un risveglio preannunciato, come certa è la primavera dopo l’inverno. La stessa rosa miniata sul seno – i seni, simboli da accarezzare con la mente prima che con la mano – riporta Afrodite tra noi e chissà che non sia stato proprio Adone a tatuarla, offrendo così un significativo segno sanguigno del suo amore, della sua simpatia, ma soprattutto della sua fertilità.
Queste scene ci portano lontano. Sono schegge di un desiderio sopito, risvegliato dal vizio e da questi rigettato dietro una corona sgranata da antiche mani. I corpi nudi, sudati, avvinghiati, trasportati oltre i confini del reale sono separati iconograficamente da una particola, da un’ostia alzata con mani ferme. Cerchio magico, simbolo che racchiude il corpo – corpo universale -, ogni speranza e ogni resurrezione per uscire dal labirinto di vizi e virtù. Cerchio spezzato dall’ostia speranza, cibo della devozione e dell’amore fraterno : mensa spirituale che sublima la tavola gastronomica e quella dei sensi.
Nonostante ciò non possiamo fare a meno di pensare come la fine del vizio possa coincidere con l’inizio della virtù e viceversa.Questo lo insegnano i sapienti indù, quelli giapponesi, ma anche l’estasi dei nostri martiri e dei nostri santi. Ogni confine, per suo statuto, è immaginario e labile .Attraversarlo è facile, riattraversarlo non sempre. Forse per questo Gasperini ha frammentato il discorso con apparizioni segniche e simboliche religiose. Elementi rassicuranti di una spedizione verso il buio del nostro futuro psichico. D’altra parte i pioli di una scala possono portare in alto quanto in basso e, capovolgendola, ne perdiamo il senso. La particola, la corona, la crocefissione, la Madonna, si alternano con l’idolatria, con la superbia, l’impudicizia, l’ira.
Il Bene e il Male, il desiderio risvegliato e il suo letargo. Il serpente si morde la coda, il cerchio della perfezione diventa il cerchio del tempo ripetuto e ciclico. I vizi nascono perché ci sono le virtù, le virtù prolificano sulla dispersione corporea e psichica dei vizi.
Eros e melanconia, vita e morte, vanità e rettitudine. Sono parole che si rincorrono, sofisticate chiavi per capire questo mondo pittorico dove le allegorie si scontrano con il pandemonio (Pan, il satiro masturbatore, stupratore di ninfe, ci offre la mania dello sguardo, la libidine da coltivare e da offrire alla famelica bocca spalancata della tigre/ S. Gerolamo).
L’artista si è rifatto sicuramente agli exempla della controriforma per delineare questo percorso mentale prima che pittorico. Proprio questa collocazione “temporale”, la bellezza dei corpi che abitano queste tele non è per niente mostruosa, come invece i bestiari altomedievali che si stagliano nella loro orripilante bruttezza sui capitelli di chiostri dimenticati da Dio e dall’uomo. Quelle di Gasperini sono invece tutte figure figlie del Demiurgo, di quel Cristo Salvatore che ha permesso alle scintille separate delle anime che vivono in esilio nel mondo, di sperare in una liberazione nel momento dell’avvento, alla fine dei tempi, della nuova creazione, di una parusia paradisiaca, e per questo umane fino in fondo.
La solitudine di S. Gerolamo, le tentazioni di S. Antonio. Accomuna i due Santi l’isolamento dal mondo, la lontananza dal fragore, una lotta perseguita tra l’Io/anima e il materiale in modo individuale. <personaggi con i sensi pronti a percepire l’ineffabile diventato Luce e, per noi spettatori, porta di una possibile salvezza. L’agiografia al servizio dell’arte (o viceversa?), dopo tanti anni di assenza. Questa è una chiamata in causa di paradigmi di santità ben diversa da quanto è avvenuto nella Controriforma, quando la Chiesa doveva parare i colpi di un luteranesimo che lasciava briglia sciolta all’anima, annullando ogni mediazione tra cielo e terra. Questo ciclo pittorico – sebbene formalmente diverso – ci riporta ad un altro S. Antonio, quello dipinto da Hieronymus Bosch nelle fosche tinte fiamminghe. Unisce i due lo stesso senso di libertà e di raccapriccio, l’uso complesso della simbolica per cantare un diverso essere al mondo. Bosch ricerca con tranquillo accanimento di superare ogni distinzione tra bene e male, tra vizio e virtù per rendere gli uomini simili agli animali selvaggi. Uomini Liberi perché a conoscenza dell’inganno del Demiurgo : la perfetta innocenza della carne in quanto opere non del Dio supremo, Protopadre immutabile e immobile, speculante in perfetto silenzio con il proprio Pensiero, ma frutto infinitamente superiore delle Tavole della Legge. Gasperini getta invece il suo grido verso una realtà e una società che vive perennemente nella contraddizione, nell’inganno e nella postura. Uomini che non si accorgono che la mela rossa non proviene sempre dal giardino delle Esperidi e può essere qualcos’altro dal significare l’eterno ritorno della vita e della morte.
Sancti Hieronymi Solitudo e De Sancti Antonimi tentationibus e ancora i Vizi Capitali : all’interno di questa iconografia letteraria l’artista agisce, abbandonando lo stupore infantile quando si accorge di aver avutopaura, perché sono nudo…(Genesi, 8-13). E’ inutile cercare una soluzione certa in queste opere. La nudità (la povertà) sembra ubbidire in ispirito all’assioma “uscite da voi stessi poiché io vi attiro” . E per uscire da sé è d’obbligo denudarsi nella certezza che l’uomo si apre e si dilata, le sue vene si spalancano, le sue forze non sono in grado di eseguire gli ordini ricevuti, ma il loro desiderio è già. “Non solo la natura, le piante, tutti gli elementi fioriscono, sbocciano, lussureggiano, ma l’uomo stesso, in quanto già in grado di possedere perfettamente l’Amata, bensì perché perfettamente desiderante” (Massimo Cacciari, introduzione a Le tentazioni di Sant’Antonio di Wilhelm Fraengher).
Una pittura sapienzale dunque quella di Gasperini. Un valore che si pensava dimenticato in un’attualità dove l’arte è tutto e il suo contrario, vaniloquio solipsistico e semplice valore di mercato. La arricchisce inoltre con un accorto uso del pennello – la materia del dipingere, la capacità di far scaturire un sogno dalla punta del pennello – nonché da un supporto teorico. Chi oggi, infatti, avrebbe la capacità di trattare i Vizi e le Virtù con cognizione di causa iconografica e agiografica? Soltanto colui che vive ai margini della baraonda modernista, fuori dagli steccati degli stereotipi artistici. Colui che, nel silenzio del suo eremo, rivolge lo sguardo dentro di sé.